Gli scenari legali del digitale

Tecnologie, norme di riferimento, possibili evoluzioni. Insieme agli esperti di settore, Soiel International accende i riflettori sulla trasformazione digitale in atto in ambito legal e sul rapporto sempre più profondo tra diritto e innovazione.

Innovazione e diritto. Un legame profondo, bidirezionale. Da un lato, il digitale, con la nascita di nuovi paradigmi tecnologici, necessita di regole, di norme capaci di definire un quadro di evoluzione conforme a principi legislativi ed etici, in termini di privacy, protezione dei dati, responsabilità; dall’altro, il diritto, il mondo legale, che vive una fase di significativa trasformazione proprio grazie al supporto di soluzioni capaci di ottimizzare ed efficientare i processi, la gestione dei contratti, la predisposizione dei documenti e non solo. Di questo ‘matrimonio’ ormai inscindibile si è occupata la web conference “Legal & Digital” organizzata da Soiel International: un appuntamento unico, ricco di spunti di riflessione, che ha riunito esperti del settore per approfondire le norme del business digitale, gli scenari legislativi e i temi ancora aperti nel rapporto tra innovazione e diritto.

L’evoluzione dell’informatica giuridica

L’incontro – moderato da Gabriella Ferraro, owner di Sxolè – è partito dalle basi, dalle fondamenta dell’informatica giuridica, per esaminare l’attuale ruolo della tecnologia nell’attività del giurista e le principali implicazioni legali al suo utilizzo, con particolare riferimento ai limiti etici nell’applicazione di tecnologie di machine e deep learning contenuti nella recente proposta della Commissione europea di regolamento sull’intelligenza artificiale.

Un cammino che Giuseppe Serafini, avvocato del Foro di Perugia, ha delineato partendo dal 1949, anno in cui è stato definito il concetto di giurimetria. “L’innovazione, la computazione, la creazione di rapporti digitalizzati tra gli individui oggi ci porta a vivere in uno spazio cibernetico e a confrontarci con categorie giuridiche e fenomeni prima inesistenti”. Il rapporto tra diritto e tecnologia, tra diritto e informatica, ha dato vita a una scienza giuridica nuova, il diritto dell’informatica, “un corpo di norme, di studi, di dottrina, volto a discernere i nodi, a farci comprendere in che modo l’attività di computazione e di elaborazione intervenga nella vita degli esseri umani portando a situazioni che devono essere disciplinate dal punto di vista giuridico”. Di fondamentale importanza, in questo percorso, il confronto continuo nella comunità dei giuristi sulle possibili vie da seguire per disciplinare al meglio la relazione con ‘intelligenze nuove’, non necessariamente umane, partendo proprio dalla recente proposta di regolamento a livello europeo sull’artificial intelligence.

Legal Tech e Legal Design

Un’attività di confronto utile al mondo legale anche per approfondire il contributo che la tecnologia può fornire nell’ottimizzare le prestazioni dei servizi in questo ambito. A spiegarlo è stato Roberto Camilli, partner di BDO Law, società del gruppo BDO in Italia che fornisce servizi legali integrati alla proposta di consulenza. “L’industria dei servizi legali può semplificare e migliorare la propria offerta tramite la tecnologia, ma deve evitare errori e false partenze per sfruttare al meglio nuovi strumenti innovativi ed essere veramente efficace. Non basta un’app o un software per rendere efficiente un servizio né per garantire un’esperienza o un risultato migliore. È necessario identificare un bisogno e trovare la soluzione più adatta – ha sottolineato Camilli. L’obiettivo deve essere semplificare, rendere più accessibili i servizi legati al mondo del diritto, renderli comprensibili a una clientela non tecnica che dispone di poco tempo per l’analisi dei dettagli e delle sfumature giuridiche, ma che necessita comunque di servizi di qualità e prodotti legali a prova di contenzioso”. In questo quadro, la legal tech rappresenta il motore dell’industria legale utile a efficientare il processo di trasformazione digitale nel settore. “Negli anni post-pandemia sarà essenziale ridurre i costi, ottimizzare i processi attraverso sistemi che supportino i legal counsel diminuendone i carichi di lavoro”. Accanto al concetto di legal tech, però, sarà fondamentale affiancare anche quello di legal design, con un approccio ai servizi utile a ridurre la complessità della comunicazione legale lavorando sul piano lessicale, strutturale e formale dei documenti, in modo da renderli comprensibili e immediatamente utilizzabili anche dai destinatari meno esperti.

Influencer marketing e regole

Il legame tra tecnologia e diritto è riscontrabile ogni giorno nell’utilizzo che le persone fanno dei social network e delle piattaforme web. Un ambito, questo, nel quale “in pochissimi anni è variato il fattore più importante dell’advertising: il canale. Il digital marketing e in particolare l’influencer marketing sono diventati quei fattori che le aziende devono prevedere sempre tra le voci di budget di una campagna di successo”, ha spiegato Rita Tardiolo, counsel di Bird & Bird, mettendo in luce le più diffuse forme di comunicazione commerciale nel mondo digitale, oltre che i criteri e le regole principali per muoversi nel rispetto della normativa applicabile in questo ambito. Il tutto, partendo da un requisito chiave, la trasparenza: “I post e i contenuti pubblicati sui social, nel momento in cui veicolano un messaggio pubblicitario, devono essere chiaramente identificabili come pubblicità/comunicazioni commerciali, applicando etichette utili a evidenziarne la finalità e utilizzando al meglio gli strumenti offerti oggi dai social media”, ha sottolineato Tardiolo presentando il quadro normativo di riferimento ed evidenziando l’importanza per le aziende di porre una particolare attenzione agli accordi stipulati con gli influencer per definire al meglio l’eventuale ripubblicazione dei contenuti e la rimozione dei post su richiesta del brand nell’ipotesi in cui quest’ultimo non sia più disposto a esserne associato.

Intelligenza artificiale e superficialità umana

“Sistemi e algoritmi di intelligenza sono al centro di innumerevoli progetti che spaziano in diversi settori, tradizionali e nativi tecnologici. Qual è l’impatto? E, soprattutto, quali le responsabilità?”. Sono queste le domande che hanno aperto la riflessione di Licia Garotti, partner e responsabile del Dipartimento di Proprietà Intellettuale e Diritto delle Tecnologie dello Studio Legale Gattai Minoli Partners. Garotti nel suo intervento ha analizzato le caratteristiche che un’intelligenza non artificiale, ma aumentata, deve garantire per essere sicura, affidabile, responsabile e trasparente. In una parola: fidata. “L’intelligenza artificiale impatta e impatterà in modo radicale non solo il nostro stile di vita e le nostre abitudini, ma le stesse fondamenta della società e dei processi democratici”, ha spiegato ponendo un quesito: “Può un algoritmo creare un’opera d’arte e dare vita a un’invenzione brevettabile?”. La risposta a questa domanda coinvolge al tempo stesso un tema etico e giuridico. “Definire un quadro etico per l’AI significa creare meccanismi, procedure e normative che incorporino i valori morali e costituzionali di una determinata società nell’ambito della tecnologia di intelligenza artificiale. Sulla base di tali valori sarà possibile inquadrare i principi fondamentali di riferimento per lo sviluppo di sistemi di AI e consentire o vietare l’utilizzo di determinate soluzioni”.

Di particolare rilevanza, in questo quadro, le linee guida etiche sull’intelligenza artificiale delineate dall’Unione Europea, che ha elencato determinati principi guida per ogni sviluppatore e distributore di sistemi di AI: robustezza e sicurezza, privacy, controllo e gestione dei dati, trasparenza, diversità, correttezza e assenza di discriminazione, benessere sociale e ambientale, responsabilità e supervisione umana. “A prescindere dai futuri sviluppi legislativi e giurisprudenziali sul tema, non sembra impossibile immaginare un diritto cosiddetto connesso e ‘sui generis’ sulle invenzioni e sulle opere realizzate dai sistemi di AI, a beneficio del soggetto che ha effettuato investimenti rilevanti nello sviluppo o nell’addestramento del sistema di intelligenza artificiale – ha concluso Garotti. Si tratta di un modello già ampiamente utilizzato con riferimento, per esempio, ai database ‘non creativi’. Un tale assetto potrebbe così prevedere un diritto di privativa, più limitato nel tempo rispetto ai termini di tutela del brevetto o del diritto d’autore, che consenta all’investitore di ammortizzare e remunerare gli investimenti effettuati”.

La rivalutazione delle banche dati

“La possibilità di rivalutare le banche dati presenti in azienda, attraverso la costruzione di processi digitali, nel rispetto della normativa applicabile e attraverso le tecniche dell’informatica forense, consente alle imprese di attribuire valore al patrimonio immateriale aziendale, molto spesso non valorizzato”. A spiegarlo è stato Vincenzo Colarocco, responsabile del Dipartimento Compliance, Media e Tecnologia dello Studio Previti. “L’attività di valutazione economica dei database aziendali è di significativa importanza: i database acquisiscono quotidianamente un ruolo sempre più strategico ai fini della pianificazione economico-finanziaria delle aziende e per questo motivo i dati informativi contenuti nelle banche dati costituiscono ormai un vero e proprio asset aziendale dotato di un proprio valore economico intrinseco e rilevante che può costituire oggetto di compravendita, licenza o condivisione”, ha sottolineato evidenziando come in questo percorso di attività di valorizzazione sia fondamentale per le aziende dotarsi di un team composto da legal tech, per l’espletamento di consulenze tecniche informatiche e forensi volte a curare gli aspetti legali connessi alla data protection, alla tutela del know-how, a inquadrare preventivamente le fattispecie oggetto di controversia e a cristallizzare l’ambiente digitale. “Non solo legal tech, però: in questo percorso, centrale è anche il ruolo dei fiscalisti per curare le attività legate all’iscrizione in bilancio e gli aspetti fiscali della valorizzazione di rilevanza strategica per l’azienda”.

L’arbitrato nell’era digitale

L’arbitrato è il mezzo di risoluzione delle dispute che, più della giustizia ordinaria, è stato capace di adattarsi alle evoluzioni tecnologiche e alle esigenze di rapidità e flessibilità che richiede il commercio transazionale. “La possibilità di utilizzare lingue diverse, di svolgere udienze virtuali, utilizzare piattaforme elettroniche per lo scambio delle memorie e dei documenti, oltre che la facilità di circolazione del lodo fanno dell’arbitrato lo strumento ideale per la risoluzione delle dispute nell’era digitale”.

Michele Sabatini, partner di ArbLit, non ha dubbi: l’arbitrato internazionale permette di evitare giurisdizioni e prassi locali e di rendere uniforme e più prevedibile il potenziale contenzioso, garantendo vantaggi, per esempio, in termini di flessibilità delle procedure, rapidità, oltre che di riconoscimento ed esecuzione del lodo in tutto il mondo grazie alla Convenzione di New York ratificata da 168 Stati. In questo scenario, nel mondo digitale l’arbitrato internazionale ricopre già un importante ruolo – per esempio in ambito Domain Name Arbitration, Licensing/IP, joint ventures, M&A nel settore tech, blockchain, criptovalute e smart contracts – e trova nell’adozione delle tecnologie emergenti un’importante alleata per ottimizzare i processi.

La responsabilità degli intermediari della rete

Nell’era digitale è fondamentale garantire la protezione online degli asset immateriali delle aziende, conoscendo le normative di riferimento e gli attuali scenari di sviluppo dal punto di vista legislativo. Alessandro La Rosa, responsabile del Dipartimento ‘Diritto della proprietà intellettuale, diritto di Internet e concorrenza sleale’ dello Studio Previti, è partito da questa considerazione per analizzare i più recenti casi giurisprudenziali e illustrare le soluzioni, giudiziali e non, per un’efficace strategia in questo ambito. Il tutto, esaminando il quadro normativo derivante dalla direttiva e-commerce, finalizzata a disciplinare gli aspetti di responsabilità di alcuni fornitori di servizi – come i fornitori di accesso alla rete e i fornitori di servizi di hosting – e il suo rapporto con l’attuale direttiva copyright adottata nel 2019 a livello europeo e in via di ricevimento da parte del legislatore italiano. Una direttiva, quest’ultima, che in un certo senso ‘stravolge’ il regime di responsabilità di quegli operatori che consentono agli utenti della rete di caricare e pubblicare online grandi quantità di contenuti, prevendo nuovi obblighi e azioni a tutela del diritto d’autore che è necessario conoscere nel dettaglio da tutte le aziende al fine di non commettere errori.

Il processo di fundraising

Il fundraising è un processo sempre più adottato dalle aziende. Nel momento in cui ci si prepara ad aprire il capitale della propria realtà a soggetti terzi, però, è necessario tenere in considerazione determinati temi che assumono immediato rilievo in tutte le fasi del processo, come per esempio la procedura di ‘due diligence’, le tempistiche dell’investimento e le relative ‘milestones’, oltre che la governance successiva all’ingresso nella compagine azionaria del nuovo investitore. “Le dinamiche e le problematiche in questo ambito sono piuttosto ricorrenti e non solo vanno considerate prima della sottoscrizione dell’accordo ma, auspicabilmente, prima dell’inizio del percorso stesso – ha spiegato Arturo Meglio, partner di K&L Gates. Prepararsi alla ‘due diligence’ può accelerare e rendere efficiente il processo, aiutare a negoziare meglio l’investimento, identificando aree di debolezza al fine di sanarle per tempo. Un business plan chiaro e ben pensato, invece, consente di spalmare l’investimento su un determinato orizzonte temporale senza per questo frenare lo sviluppo della società e discutere con i potenziali investitori ‘milestones’ ragionevoli a tutela delle rispettive posizioni. Infine, con l’ingresso di nuovi portatori di interessi nel nuovo organo societario è necessario definire in modo chiaro le esigenze inderogabili e le concessioni che si è disposti a fare onde evitare futuri scenari di contenziosi”.

I contratti del cloud

La trasformazione digitale, come sappiamo, è sempre più ‘cloud first’. Conoscere i contratti cloud diviene quindi fondamentale per tutte le imprese, al fine di scegliere il servizio più idoneo in modo consapevole in base alle esigenze. “Un approccio necessario e utile per dotarsi delle soluzioni più adatte alle necessità aziendali nei diversi scenari aperti oggi dal cloud”, ha sottolineato Marco Ciurcina, avvocato di StudioLegale.it, lanciando un messaggio chiave per il cammino di digital transformation su questo fronte: nella scelta di un servizio cloud è necessario aver ben chiari i principali quadri normativi di riferimento, definire nel dettaglio tutte le clausole contrattuali, senza dimenticare l’importanza dei dati, della loro protezione e controllo, degli aspetti di privacy e compliance, oltre che dell’importanza del DPA (Data Processing Agreement), elemento centrale nella stipula di ogni contratto cloud.





Vincenzo Virgilio

Giornalista pubblicista, laureato in Scienze Politiche, dal 2005 ha scritto per diverse testate e ha svolto attività di ufficio stampa e comunicazione nella pubblica amministrazio...

Office Automation è il periodico di comunicazione, edito da Soiel International in versione cartacea e on-line, dedicato ai temi dell’ICT e delle soluzioni per il digitale.


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