Competence Center di Industria 4.0

Accelerazione digitale da pandemia e recovery fund accendono l’attenzione sui centri di competenza ad alta specializzazione nati tra università e imprese. Trasferimento tecnologico e formazione: da qui passa la crescita organica del sistema Paese. Una chiacchierata in web conference con 4 degli 8 centri attivi in Italia e con il Gruppo Software Industriale di ANIE Automazione.

Istituiti nel 2016 con il piano nazionale Industria 4.0, nati a partire dal 2018 nella forma del partenariato pubblico-privato, gli otto centri di competenza italiani ad alta specializzazione stanno diventando importanti. Quasi come se l’emergenza Covid avesse reso ancora più urgente non solo la digitalizzazione del Paese, ma anche la necessità di procedere secondo un piano ordinato alla diffusione del digitale; un piano che sia ben leggibile anche in sede europea.

Anzi, togliamo pure il quasi perché le cose stanno davvero così: “La crisi legata alla pandemia testimonia come innovazione e digitalizzazione diventino sempre più imprescindibili nel contesto socioeconomico odierno”, ha affermato Domenico Bambi, presidente del competence center Bi-Rex di Bologna, specializzato in big data e additive manufacturing. “In questo periodo è emersa infatti la grande portata rivoluzionaria costituita dal digitale, come elemento a supporto della vita quotidiana, non solo per una comprensione chiara e definita delle enormi sfide che la nostra società è costretta ad affrontare, ma anche in ottica di supporto alle imprese per l’ottimizzazione dei processi produttivi e per la protezione e l’ampliamento del business”.

E allora qual è la situazione? Quali le prospettive? Come verranno giocati gli investimenti pubblici, compresi quelli legati al recovery fund, che lo stato mette a disposizione di università e imprese per la crescita organica del sistema Paese attraverso trasferimento tecnologico, formazione e comunicazione sociale?

Per capirlo meglio abbiamo coinvolto in un incontro web di due ore i responsabili di quattro competence center e abbiamo compreso che diverse cose sono state fatte in due anni – la prima Linea Pilota italiana presentata a Bologna lo scorso ottobre ne è un buon esempio – ma soprattutto che esiste un quadro univoco e sostanzialmente ben organizzato attorno alla necessità di spingere nella direzione intrapresa nel 2016.

Oltre a Domenico Bambi di Birex hanno chiacchierato con noi Lorna Vatta di Artes4.0 del competence center di Pisa focalizzato su robotica avanzata ed enabling digital technologies, Paola Girdinio di Start4.0 che da Genova si occupa di sicurezza e ottimizzazione delle infrastrutture strategiche e Luca Fabbri di Smact, attivo nel triveneto soprattutto su social, mobile platforms, analytics, cloud e IoT.

Altri quattro sono i competence center attualmente operativi: Cim4.0 che ruota attorno al Politecnico di Torino (manufacturing 4.0), Made in Italy 4.0 che fa riferimento al Politecnico di Milano ma che coinvolge anche l’Università di Brescia (isole dimostrative sulle tecnologie abilitanti industry 4.0), Meditech -Campania Puglia Industry 4.0 che vede come polo di ricerca quello dell’Università degli Studi di Napoli Federico II (tecnologie social e blockchain) e Cyber 4.0, legato all’Università La Sapienza di Roma (cyber security).

Perché sono stati creati i centri di competenza?

Sul sito di Artes4.0 c’è una risposta esaustiva a questa domanda. “La costituzione dei competence center– si legge – rappresenta un lungimirante progetto governativo di supporto strategico alle imprese per affrontare le sfide che la quarta rivoluzione industriale ha posto in essere. Il decreto delMinistero dello sviluppo economico del 29/1/2018 (il piano Calenda per intenderci), definendo condizioni, criteri e modalità di finanziamento ha tracciato la strada per la selezione di 8centri di competenza ad alta specializzazione su tematicheIndustria 4.0. L’investimento informazione e competenza, nel quale l’Italia sconta ancora un divario con altri Stati europei, è alla base di questo indirizzo che vuole essere un supporto concreto nel rafforzare la competitività delle aziende interessate e del sistema Paese in termini di innovazione e ricerca”.

Le logiche di fondo dei competence center sono quelle di:

-Contrastare la forte frammentazione e dispersione di centri di trasferimento tecnologico (in Italia sono censiti oltre 300 centri fra poli di innovazione, parchi scientifici tecnologici, distretti tecnologici).

Seguire gli esempi europei: catapult centers, poles d’innovation, fraunhofer.

-Valorizzarele realtà esistenti a partire dalleuniversità di eccellenzain una logica brownfield e secondo chiare logiche di specializzazione sulle tecnologie del Piano Impresa 4.0.

Intensificare i rapporti tra università e imprese attraverso la costituzione di partenariati paritetici secondo un orientamento a mercato e una progettualità sostenibile sotto il profilo economico finanziario.

-Dare visibilità, scala e respiro alle iniziative anche con una forma di finanziamento inedita e promuoverne una compiuta collocazione all’interno del costituendo network europeo dei digital innovation hub.

La forma e l’ambito operativo dei competence center

La forma in cui il Mise ha promosso e finanziato la costituzione dei centri di competenza ad alta specializzazione è quella del partenariato pubblico-privato, cioè un modello di collaborazione tra partner pubblici e privati, questi ultimi selezionati dal partner pubblico tramite una procedura di evidenza pubblica. I centri di competenza, a cui di fatto partecipano università (partner pubblico) e imprese (partner privato), svolgono attività di orientamento e formazione alle imprese stesse nonché di supporto nell’attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale finalizzati alla realizzazione, da parte delle imprese fruitrici, in particolare delle PMI, di nuovi prodotti, processi o servizi (o al loro miglioramento) tramite tecnologie avanzate in ambito Industria 4.0.

Ma che cosa si intende con Industria 4.0?

La risposta è sul sito della Camera dei Deputati dal 2016, anno in cui è stato presentato il Piano Nazionale Industria 4.0 da parte dell’allora governo pro tempore: “L’espressione Industria 4.0 indica un processo generato da trasformazioni tecnologiche nella progettazione, nella produzione e nella distribuzione di sistemi e prodotti manifatturieri, finalizzato alla produzione industriale automatizzata e interconnessa. In particolare, si identifica un’organizzazione basata sulla digitalizzazione di tutte le fasi dei processi produttivi: un modello di ‘smart factory’ (fabbrica intelligente) del futuro, nel quale l’utilizzo delle tecnologie digitali permette di monitorare i processi fisici e assumere decisioni decentralizzate, basate su meccanismi di autoorganizzazione, orientati alla gestione efficiente delle risorse, alla flessibilità, alla produttività e alla competitività del prodotto, che generano fruttuose sinergie tra produzione e servizi”.

Dentro Industria 4.0 si trovano nove tecnologie definite abilitanti sulle quali si sono concentrati gli incentivi economici previsti dal piano, a coprire tutte le aree interessate dalla digitalizzazione. Tali tecnologie sono:

-Advanced Manufacturing Solutions (robot collaborativi interconnessi e rapidamente programmabili).

-Additive Manufacturing (stampanti in 3D connesse a software di sviluppo digitali).

-Augmented Reality (realtà aumentata a supporto dei processi produttivi).

-Simulation (simulazione tra macchine interconnesse per ottimizzare i processi).

-Horizontal/Vertical Integration (integrazione delle informazioni lungo la catena del valore dal fornitore al consumatore).

-Industrial Internet (comunicazione multidirezionale tra processi produttivi e prodotti).

-Cloud (gestione di elevate quantità di dati su sistemi aperti).

-Cybersecurity (sicurezza durante le operazioni in rete e su sistemi aperti).

-Big Data and Analytics (analisi di un’ampia base dati per ottimizzare prodotti e processi produttivi).

Ognuno degli 8 competence center si occupa di una o più aree, soprattutto in base alle caratteristiche del tessuto economico territoriale, ma senza sovrapposizioni perché queste sono escluse dalla logica con cui i centri sono stati creati. Fra i diversi staff c’è dialogo e si è autogenerata una rete di scambi che funziona molto bene. “Tra le cose positive c’è sicuramente la coesione tra tutti i competence center – ci ha detto Paola Girdinio, presidente di Start4.0 – che ci fa lavorare insieme e affrontare questa avventura non come una competizione ma piuttosto una sfida a dare un contributo al sistema Paese. Credo che questo sia già un buon esempio di open innovation”.

A che punto è la digitalizzazione di Industria 4.0?

Ai quattro competence center coinvolti nella nostra web conference abbiamo chiesto una fotografia aggiornata della diffusione digitale dal loro punto di vista. Ne emerso un quadro fatto di luci e ombre in cui il mindset e il man-ware sono gli anelli deboli, di pari passo con la difficoltà di mettere a fuoco un piano di crescita organico e olistico.

“Penso che le aziende, soprattutto le grandi ma anche le PMI, abbiano molto chiaro l’aspetto tecnico della digitalizzazione – ha affermato Luca Fabbri, direttore tecnico in Smact – perché evidentemente il piano Industria 4.0 ha facilitato l’acquisizione delle tecnologie. Quindi vedo tecnici divertirsi moltissimo, in fondo la tecnologia è il loro pane, e imprenditori felici di mettere gli investimenti in iperammortamento. Tuttavia non sono così sicuro che le imprese abbiano capito che non basta mettere il digitale sulla linea e che digitalizzare un processo significa ripensare completamente quello stesso processo. Diciamolo chiaro: se la produzione si digitalizza ma l’amministrazione continua a lavorare come prima, non è che abbiamo fatto chissà quale passo avanti. Credo allora che il nostro ruolo come competence center dovrà essere proprio quello di portare a ripensare i processi non solo in chiave tecnologica. I primi pezzi del mosaico cominciano a esserci, bisogna proseguire”.

“Dal mio punto di vista un tema fondamentale è quello delle infrastrutture – ha sottolineato Paola Girdinio – perché, a prescindere da ciò che si può fare, se manca la trasmissione dei dati il resto vale poco. Dunque le infrastrutture vanno portate avanti, mi riferisco anche al 5G, e completate in modo da poter attivare tutto il resto. Il tema del mindset lo considero altrettanto importante perché non si può pensare che la digitalizzazione consista solo nell’implementare la tecnologia; e qui a mio avviso la barriera da superare è soprattutto a livello di leadership”.

Le prime risultanze del piano Industria 4.0 sono buone anche per Domenico Bambi dagli uffici Birex. “L’iperammortamento ha permesso alle aziende di mettersi in casa la tecnologia, ora però ci si trova davanti ad altri problemi come quello dell’utilizzo dei dati e della loro sicurezza in chiave cybersecurity. Anche su questo fronte l’attenzione massima va rivolta a quello che noi chiamiamo man-ware, cioè alle persone, non solo in termini di formazione ma anche di educazione all’utilizzo dei sistemi digitali all’interno di processi digitalizzati. Anche la leadership fa parte del man-ware”.

A Lorna Vatta, direttrice esecutiva di Artes4.0, il compito di puntare il dito su quello che poi è il problema di fondo di tutti i competence center nati attorno a Industria 4.0, vale a dire la difficoltà di creare un’interazione efficace tra le università e le aziende utenti. “Tutto bello, potenziale esagerato, mai poi come si porta a terra il valore? Ecco, a mio avviso forse è stato questo l’anello debole nel disegno del Mise, probabilmente anche perché gli stessi competence center hanno bisogno di formazione in questo aspetto. Comunicare con le imprese utilizzando lo stesso linguaggio è fondamentale per ottenere dei risultati utili al sistema, così come lo sono le soft skill e un modo di ragionare basato su open innovation: forse per questo in Artes4.0 in questi due anni sono arrivate più richieste di formazione su questa parte della digitalizzazione che non sui verticali della robotica collaborativa. Aggiungo che oggi stiamo traducendo in forma di pillole, tradurre per noi è un verbo fondamentale, tantissimi contenuti resi disponibili da parte di esperti; produciamo esempi, nuove modalità comunicative, e in questo modo portiamo concretezza. Così come cerchiamo di essere accanto alle imprese quel tanto che basta a dar loro la forza di prendere un rischio che da sole non prenderebbero”.

Futuro prossimo e sostenibilità

I finanziamenti post pandemia che arriveranno dall’Europa, una quantità enorme di denaro, sono subordinati all’esistenza di un solido e credibile piano digitale a cui i competence center Industria 4.0 potrebbero dare il massimo dei contributi, così come candidarsi a diventare gli European digital innovation hub di cui si parla. A patto però di diventare dei punti di coordinamento e non aumentare l’entropia del sistema. Su questo tutti i nostri interlocutori concordano. Domenico Bambi aggiunge un’altra cosa che riguarda la sostenibilità in senso lato: “Il lockdown ha accelerato l’ICT negli uffici e nei collegamenti uffici-officina, ma il distanziamento e tutte le procedute per evitare e contenere il contagio sono un’enorme palla al piede ai processi di produzione e sono accettati solo perché ritenuti necessari a fronte del rischio di morte dell’azienda. Ciò ci rende più consapevoli del pericolo che stiamo correndo nell’attuale punto di sviluppo del nostro pianeta se continuiamo a non portare rispetto al fragile ecosistema a causa della frenesia con cui facciamo le cose quotidianamente. Dovremo essere veloci ma anche più rispettosi. Tale rispetto sarà costoso ma necessario e dovrà essere accettato, proprio come il distanziamento”.

Il punto di vista del gruppo sw industriale di ANIE Automazione

Massimo Marchetti di Var Group presiede il gruppo software industriale di ANIE Automazione, una delle associazioni che fanno capo alla federazione ANIE. Abbiamo discusso anche con lui gli argomenti affrontati con i cencri di competenza Industria 4.0.

Quali sono le prime risultanze nel mondo industriale emerse da questo percorso di digitalizzazione?

Il mondo industriale italiano ha avuto e sta avendo in questi anni la grandissima opportunità di far convergere la necessità di digitalizzazione delle aree produttive e, in molti casi, dei prodotti realizzati con una significativa disponibilità di incentivi fiscali per sostenere gli investimenti necessari. Sin dalla loro ideazione i piani di incentivazione del governo per la digitalizzazione delle imprese (Industria 4.0, Impresa 4.0 e Trasformazione 4.0) hanno avuto un ottimo riscontro di adozione da parte delle imprese industriali italiane con un percorso che ha visto un maggiore utilizzo iniziale da parte delle grandi imprese per poi estendersi verso il mondo delle PMI. Oggi è abbastanza evidente che il percorso della trasformazione digitale non è una scelta ma è una necessità e interesserà qualsiasi tipologia di azienda industriale. Il paradigma 4.0 permette alle imprese di esaltare il proprio valore e di mantenere o guadagnare spazi di business in un contesto sempre più internazionale e di dinamicità delle richieste generate dal mercato. La conoscenza delle disponibilità di tecnologie e incentivi è diffusa in modo significativo e una percentuale elevata delle grandi imprese (80-90%), assieme a una percentuale più limitata delle PMI (55-65%), ha realizzato dei progetti di digitalizzazione. Questo non significa evidentemente che queste aziende si sono completamente digitalizzate nelle aree produttive ma che hanno compreso l’importanza dell’adozione di nuovi modelli e hanno iniziato il cammino attraverso l’implementazione delle road map evolutive. Il percorso per arrivare a un’estesa digitalizzazione del nostro sistema industriale è ancora lungo e oggi è stato fortemente impattato dalla attuale situazione sanitaria che ha bloccato o almeno rallentato gli investimenti in corso e ha creato la necessità di ripensamento delle strutture operative aziendali.

Quali saranno le conseguenze della pandemia?

L’emergenza Covid-19 ha avuto un impatto elevatissimo nel comparto industriale tanto che molti studi prevedono una diminuzione sostanziale del PIL nazionale per l’anno in corso. Il Coronavirus ha evidenziato che la tradizionale modalità produttiva in essere nella gran parte delle aziende italiane non è compatibile con una facile gestione di queste situazioni e che il nostro sistema produttivo non era preparato per affrontare un’emergenza pandemica. Nel momento della ripartenza il sistema produttivo ha dovuto e dovrà rivedere in modo coerente i propri processi al fine di rendere le strutture operative più resilienti a eventi simili futuri. Ulteriore elemento di grandissima importanza sarà la completa revisione delle catene del valore per via di un effetto di deglobalizzazione che dovrà essere gestito al fine di accorciare le filiere per limitare la durata di impatto delle onde pandemiche sulla capacità operativa aziendali. La via maestra per questa revisione dei processi è la digitalizzazione dei processi industriali che quindi dovrà essere accelerata per supportare e semplificare il cambiamento e renderlo di facile recepimento da parte delle strutture operative. La digitalizzazione assume in questo contesto un aspetto tattico e un aspetto strategico. L’aspetto tattico è quello dettato dalla necessità di rendere semplice il rispetto delle nuove regole operative nelle aree aziendali come, ad esempio, il monitoraggio della temperatura corporea all’ingresso in azienda e il mantenimento della distanza sociale nelle aree operative. L’aspetto strategico impatterà, invece, tutte le aree della supply chain e dei processi operativi interni per renderli efficienti, focalizzando l’attenzione su quelle aree operative che si sono dimostrate fragili abilitando anche metodologie di lavoro differenti rispetto al passato.

Quali azioni e competenze servono per spingere ulteriormente la digitalizzazione?

La vera peculiarità dell’Italia è la minore dimensione media dell’impresa industriale. Il nostro mercato ha una componente significativa di piccole e medie imprese che sono la colonna portante del nostro Made In Italy e che sono anche la spina dorsale di alcune importantissime filiere internazionali. Questo contesto sta creando un percorso di digitalizzazione molto più complesso che in altre nazioni dove la tipologia delle aziende permette di avere una struttura interna e una competenza su questi temi più elevata rispetto alle disponibilità esistenti in una piccola struttura. È chiaro che questa situazione è anche un vantaggio competitivo del nostro sistema Paese e, quindi, deve essere valorizzata attraverso percorsi di supporto come quello avviati negli scorsi anni e ancora oggi disponibili. Un’azione fondamentale, in questo contesto, è quella di migliorare le aliquote degli incentivi e rendere strutturale o almeno pluriennale la loro disponibilità. Abbiamo già detto che la digitalizzazione non è un progetto spot ma è un percorso e quindi anche tutte le politiche di sostegno devono essere allineate per supportare un percorso e non una frazione dello stesso. La criticità principale ancora oggi è quella della disponibilità delle competenze. È vero che si sta lavorando molto per colmare questo gap ma, soprattutto nelle PMI, la situazione non è ancora migliorata in modo consistente. È un cambiamento culturale importante quello richiesto dalla digitalizzazione. Un percorso di cambiamento che deve permettere all’azienda di evolvere e che possa convergere con il percorso parallelo di adozione delle nuove tecnologie e delle nuove modalità di produrre e di fare impresa. In questo ambito un tema fondamentale è quello del lavoro di squadra e della condivisione delle informazioni abbattendo la logica di silos informativi segregati e di dipartimenti indipendenti tra di loro. Ulteriore elemento è anche quello dell’open innovation che si fonda sul concetto di fare sistema al fine di focalizzare ogni elemento dello stesso sul suo core e massimizzare in questo modo la velocità di risposta al mercato. Ecosistemi che per definizione non devono essere solo interni ma open e che prendano competenze e tecnologie laddove sono conosciute e disponibili.

Dal punto di vista del Gruppo Software Industriale di ANIE Automazione, quale deve essere il ruolo dei centri di competenza Industria 4.0?

Come ANIE abbiamo concluso da poco la seconda edizione di un nostro master sui temi di Industria 4.0 che ha avuto un ottimo risultato permettendo di formare un buon numero di persone sui temi centrali della digitalizzazione in area industriale. Riveste un ruolo importante anche il lavoro effettuato in collaborazione con le Università, gli istituti tecnici superiori, le scuole superiori e gli enti di formazione con cui collaboriamo continuamente su questo tema. Il nostro gruppo di lavoro e ANIE Automazione sono stati promotori del primo ITS focalizzato sul tema di Industria 4.0. Sempre nell’ambito del miglioramento delle competenze ricade anche l’organizzazione di forum verticali di settore, come quello del software industriale, che permettono alle aziende di apprendere e conoscere le esperienze derivanti da casi reali di implementazione e conoscere la proposta tecnologica in modo semplice e ottimizzato. Nelle prime due edizioni è stato riscontrato un successo significativo di partecipazione, segno che la tematica è estremamente interessante e necessita di manifestazioni di questo genere per trovare approfondimenti utili a capire come intraprendere un percorso di adozione. Attraverso le attività dei gruppi di lavoro sono stati pubblicati diversi white paper per aiutare le persone di riferimento nelle imprese a capire questi nuovi paradigmi e le tecnologie che li accompagnano. In quest’area, in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’Università di Pisa e l’Università di Firenze abbiamo realizzato un white paper focalizzato sul fornire alle imprese uno strumento utile per effettuare la valutazione del Return of Investments (ROI) nell’introduzione di tecnologie 4.0 nel settore della manifattura industriale. Le università hanno potuto portare un contributo determinante nella individuazione e definizione del modello di riferimento per la valutazione del ROI mentre i membri del gruppo di lavoro hanno partecipato attivamente nella definizione di alcune check list correlate alla rilevazione dei dati necessari e a identificare delle aziende che, attraverso interviste effettuate dai ricercatori universitari, hanno permesso di fare le prime valutazioni di correttezza del modello. Quello realizzato è sicuramente uno strumento molto importante, che potrà essere affinato ma fin da subito può indirizzare gli imprenditori a capire quali sono i reali benefici che si possono ottenere. Oggi abbiamo in corso di realizzazione un ulteriore white paper focalizzato sull’uso dell’intelligenza artificiale nel mondo industriale. È un tema sul quale riteniamo doveroso e importante provare a dare degli elementi di cultura e di supporto agli imprenditori, soprattutto delle PMI, per capire quali possono essere le opportunità disponibili attraverso questa tecnologia.

La prima Linea Pilota di produzione è al Birex di Bologna

Il competence center Birex di Bologna ha inaugurato a ottobre 2020 la prima Linea Pilota italiana. Dotata di un alinea di produzione all’avanguardia accessibile a PMI, grandi aziende, ricercatori, con gli strumenti necessari per sviluppare innovazione nel tessuto industriale nazionale, l’impianto è un esempio di smart factory del futuro. La Linea Pilota Birex è stata progettata per imprese e centri di ricerca che potranno conoscere da vicino le tecnologie abilitanti l’Industria 4.0 nelle aree di sviluppo big data, additive manufacturing, robotica, finitura e metrologia.


Michele Ciceri

Giornalista professionista, ghostwriter, speaker, coordinatore di eventi e convegni. Energia, Ambiente, Green ICT, Terzo Settore. Ufficio Stampa Cancro Primo Aiuto Onlus. Già redattore e caporedattore in crona...

Office Automation è il periodico di comunicazione, edito da Soiel International in versione cartacea e on-line, dedicato ai temi dell’ICT e delle soluzioni per il digitale.


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