Proprietà intellettuale, le nuove frontiere degli NFT

Cosa sono e come operano i Non-Fungible Token? Quali i benefici derivanti dal loro utilizzo, i limiti da superare e le prospettive di regolamentazione? In che modo, infine, coglierne pienamente i vantaggi? Office Automation lo ha chiesto ad Alessandro La Rosa e Andrea Grasso, avvocati dello Studio Previti specializzati in materia.

“Gli NFT sono dei pezzi di codice informatico, compatibili con un’infrastruttura informatica a rete distribuita e decentralizzata chiamata blockchain, che alle caratteristiche proprie di ogni token (o coin) su blockchain – essenzialmente la non assoggettabilità a double spending, quindi con una certezza e tendenziale immutabilità delle relative transazioni –, aggiungono la caratteristica dell’unicità informatica, che rende tali particolari token non fungibili tra loro e funzionali a vari utilizzi concreti”. Alessandro La Rosa e Andrea Grasso, avvocati dello Studio Previti, descrivono così i Non-Fungible Token.

Perché parlate di ‘tendenziale immutabilità’?

L’immutabilità di una transazione è determinata dal grado di sicurezza di ogni blockchain, che dipende da una serie di fattori tecnologici. Per esempio in una blockchain come quella di Bitcoin, la prima blockchain, o di Ethereum, la blockchain che per prima meglio si è prestata agli smart contract (compresi gli NFT), il meccanismo della ‘proof of work’, cioè della ‘dimostrazione di avvenuta lavorazione’, richiederebbe che più di metà dei cosiddetti miner (o meglio della potenza di calcolo da essi espressa) operassero per sovvertire le regole di consenso impostate dalle relative blockchain. Stiamo parlando di potenze di calcolo enormi, e la comunità di esperti informatici sembra considerare l’ipotesi di una instabilità di queste blockchain come sostanzialmente non prefigurabile, o molto difficilmente prefigurabile, allo stato attuale.

Cosa si intende in particolare per token?

Token letteralmente significa gettone, proprio come i gettoni del telefono di una volta, o quelli per le bibite. Venendo all’oggi, in realtà vi sono diverse funzioni che un token può svolgere in concreto. Anzitutto, il token è un asset digitale, un bene che consiste in una o più informazioni associate a un utente, che viene creato e inserito sulla blockchain mediante smart contract, ovvero codici informatici generati da software specifici che a un input fanno seguire un output e possono certificare il trasferimento di dati informatici cui possono venire associati diritti specifici sul cosiddetto sottostante (diritto di proprietà, diritto di accesso a un servizio, diritto a una royalty). Le criptovalute e i token hanno in comune che possono essere utilizzati come mezzi di scambio tra utenti all’interno della blockchain di riferimento, che a ogni scambio trattiene una ‘mining fee’ o ‘gas fee’, ovvero il costo del caricamento o del trasferimento dell’asset.

I token possono essere di diversi tipi, tra i principali ricordiamo gli Utility Token, usati per accedere a un prodotto o servizio (per esempio, per emettere i biglietti per un evento, oppure per applicazioni più complesse, come quando nell’etichetta di un capo di abbigliamento reale si associa un QRCode tramite il quale poter disporre – con determinate procedure – di un token digitale rappresentativo del capo digitalizzato da fare indossare al proprio avatar nel Metaverso. Il tutto, senza dimenticare i Fan Token che rientrano sicuramente in questa categoria); i Non-Fungible Token o NFT, usati per acquistare e vendere opere d’arte digitali (l’esempio massimo in questo caso è l’opera “Everydays: The First 5,000 Days” ottenuta da un collage .jpeg di opere digitali create una volta al giorno dal primo maggio 2007 dell’autore Beeple e battuta all’asta da Christie’s per l’astronomica cifra di 69,3 milioni di dollari); i Commodity Token, fungibili, e collegati alle commodities del mondo reale come oro o caffè; gli Asset Token, rappresentativi di beni virtuali o del mondo reale (in quest’ultimo caso c’è sempre da trattare con attenzione il tema del rapporto tra ‘onchain’ e ‘offchain’); gli Investment o Security Token, che hanno caratteristiche che li rendono assimilabili a strumenti di investimento, il che impone determinate cautele anche sotto il profilo della compliance.

Last but not least, e anzi sono i più conosciuti e quelli che hanno portato il fenomeno alla ribalta, i Collectibles, che potremmo ragionare come ‘figurine’, anche multimediali, digitali, oppure come opere d’arte digitali, declinabili anche con una produzione ‘in serie ma numerata’, vendibili anche singolarmente, che hanno la finalità di venire collezionate dagli utenti appassionati che nella loro vetrina di NFT possono vantarsi di possedere tale collezione che, tanto più è completa, quanto più assume valore. Un esempio è il gruppo di 101 NFT (parte della collezione “Bored Ape Yatch Club”) battuta all’asta da Sotheby’s per 24.4 milioni di dollari. I luoghi virtuali ove tali NFT possono essere venduti e acquistati sono marketplace digitali quali OpenSea, Rarible, Mintable. La blockchain oltre a rappresentare un’utilità dal punto di vista della certezza della prova di una determinata transazione, e dello storage del relativo registro di transazioni, è diventata terreno perfetto per lo scambio di asset digitali anche all’interno del Metaverso (o dei Metaversi), ovvero questo mondo parallelo popolato da avatar che possono indossare vestiti o guidare macchine, sotto forma di NFT, acquistate con token o criptovalute.

Interessante, approfondiamo proprio il valore degli NFT.

Approfondendo il tema dei Non-Fungible Token, o NFT, questi ultimi sono dei beni immateriali indivisibili, dei ‘certificati digitali’ basati sulla tecnologia blockchain volti a identificare in modo univoco, insostituibile e non replicabile, non solo chi ne risulti in un dato momento proprietario (o meglio a quale specifico indirizzo pubblico su blockchain risulti associato), ma anche – come conseguenza – chi possa vantare una forma di titolarità (da determinarsi in base ai casi come vedremo) sul cosiddetto ‘sottostante’. L’NFT infatti può a sua volta incorporare (oppure, mediante lo strumento dei metadati – parti di testo leggibile –, rinviare a) qualsiasi file di testo, musica, video, fotografie, opere grafiche native digitali, appezzamenti di terra digitali, o rappresentazioni digitali di asset corrispondenti a luoghi reali, domini di siti, ma è necessario comprendere bene qual è il bene oggetto dei diritti (solitamente di proprietà o concessi in licenza) trasferiti. Se un film venisse incorporato in un NFT, l’utente titolare di questo NFT non potrebbe pretendere di avere quei diritti di sfruttamento economico che sul film continua a mantenere solitamente il produttore e la certezza dello scambio su tecnologia blockchain non vale a bypassare la titolarità dei diritti nel mondo reale. È infatti fondamentale tenere ben distinto l’NFT inteso come codice smart contract e il contenuto collegato o in esso incorporato. Tale circostanza, peraltro, trova conferma dall’analisi dei ‘terms and conditions’ di alcune tra le più importanti piattaforme utilizzate per la creazione e/o la commercializzazione degli NFT, che vietano il caricamento o la disponibilità di NFT che contengano immagini, fotografie, software o altro materiale protetto dalle leggi sulla proprietà intellettuale e industriale, o dai diritti di privacy, a meno che l’utente in questione non possieda i relativi diritti o abbia ricevuto l’autorizzazione necessaria.

Quindi non è lo smart contract a determinare quali siano i diritti ceduti?

Potremmo forse dire che lo smart contract è in sé contenuto, e contenitore. Si tratta di distinguere bene due piani paralleli, che sta a noi assicurare che vengano armonizzati. Dal momento che gli NFT sono regolamentati, quanto alla loro circolazione su blockchain in quanto token quindi smart contract, dalle indicazioni informatiche presenti negli smart contract stessi, sarà per definizione presente una chiara (se il codice è scritto correttamente) e automatica disciplina di come questi NFT potranno circolare, di quali effetti conseguiranno in automatico a ogni vendita, la prima come le successive (per esempio pagamenti automatizzati che noi chiameremmo royalties, ma che lo smart contract legge come percentuali su wallet o indirizzi pubblici pre-impostati al momento della creazione – il cosiddetto minting – dell’NFT), etc.

Tutto ciò opera sul piano informatico: il codice informatico, tuttavia, non legge il testo come noi lo intendiamo, né noi (a parte gli esperti informatici) leggiamo il codice informatico. Sono due piani paralleli, che non si leggono e non si decifrano a vicenda, e che sta a noi armonizzare. In questo è fondamentale che diverse professionalità legali e informatiche operino all’unisono, al fine di poter garantire un allineamento tra quanto avviene nei fatti nella trasmissione del token e la sottostante regolamentazione giuridica dei diritti sottesi. La portata, estensione ma anche limitazione di tali diritti potrà (e dovrà) venire regolata sempre al momento del minting, potendo inserire appositi metadati fin dal principio all’interno dell’NFT. I metadati non verranno ‘letti’ dallo smart contract (se non per riportarli e renderli visibili), ma dall’utente. Per esempio è possibile inserire il nome dell’autore dell’opera digitale, e la natura del diritto ceduto (“per uso privato”, “escluso uso commerciale”, etc.). La parte economica sulle royalties sarà invece regolata direttamente dallo smart contract, a esecuzione automatica (per esempio in merito alla royalty percentuale per ogni successiva rivendita dell’NFT – diritto di seguito). Si tratta di un campo estremamente ricco di sfumature, di possibilità, e di insidie da considerare e prevenire, per trarre il meglio, lato business, da queste dirompenti tecnologie. Tramite attenta analisi e determinate cautele, ad esempio, sarà peraltro possibile comprendere se una chiave pubblica appartenga effettivamente al soggetto titolare dell’opera sottesa a un determinato NFT.

Quali sono i principali benefici derivanti dall’utilizzo degli NFT sotto il profilo della proprietà intellettuale? Quali, invece, i limiti al loro utilizzo e gli ostacoli da superare?

I benefici principali sono essenzialmente tre: il primo, l’affacciarsi a un mondo nuovo che apre a molteplici sviluppi connessi alla vendita dei prodotti reali e digitali delle aziende, col vantaggio competitivo che ne consegue in termini di puro marketing ed engagement dei clienti di una società; il secondo è il fatto che la blockchain (anche se ne esistono più di una e per ognuna servirà fare un’apposita distinzione operativa) sia un sistema integrato e transnazionale, pertanto in caso di violazione dei diritti nel momento in cui un marketplace impedisce l’accesso (quindi il listing nel proprio marketplace) a un determinato NFT lo fa a livello mondo, non basandosi solo sugli accessi al protocollo Internet unicamente (ad esempio) dall’Italia; il terzo beneficio, infine, è legato alla tracciabilità delle transazioni (tramite strumenti quali blockexplorer, etherscan, etc. a seconda della blockchain di riferimento). Gli ostacoli di cui tenere conto, invece, sono legati al fatto che non vi è al momento una regolamentazione unitaria in materia né a livello italiano né europeo ed è una sfida tutta nuova sia per gli avvocati che per i giudici, dovendosi rifare a regole ancora a dir poco frammentate; per quanto riguarda la registrazione dei marchi per i beni ‘NFT’, non esiste inoltre una specifica classificazione di Nizza da poter con certezza applicare. L’interpretazione prevalente porta ad affermare che le classi più indicate siano la 9 (Supporti registrati o scaricabili, computer software, supporti digitali o analogici vergini per la registrazione e la conservazione) e la 42 (Progettazione e sviluppo di computer e di programmi per computer).

È chiaro che la classificazione dovrà cambiare adattandosi ai tempi, o prevedendo la creazione di un’apposita nuova classe o un’inclusione per ogni classe che dica “e suoi corrispondenti virtuali” per ogni bene. La richiesta di ‘notice and take down’ su piattaforme ‘nuove’ e con poca struttura alle spalle, inoltre, come tutte quelle rappresentanti altrettanti marketplace di NFT potrebbe rischiare di richiedere parecchio tempo prima di giungere al risultato sperato, anche se nella nostra esperienza, adottando specifici accorgimenti tecnici basati sull’esperienza di SPTech – la società tecnologica di cui ci avvaliamo – abbiamo ottenuto ottimi risultati. Un altro ostacolo è legato poi all’anonimato degli utenti, circolando ben meno dati a loro riguardo che sulle piattaforme social che solitamente siamo abituati a vedere; quasi tutte le piattaforme si trovano all’estero, in America o Asia prevalentemente, il che ogni volta implica uno sforzo in più per dimostrare il criterio di collegamento territoriale secondo cui un giudice italiano possa decidere sulla violazione di diritti d’autore di terzi commessa sui marketplace esteri. Fortunatamente la giurisprudenza in tal senso è da tempo granitica nell’affermare il principio del ‘locus commissi delicti’, contando solo il luogo della sede dell’impresa o dell’artista italiano lesi nei loro diritti autorali e connessi. Un ulteriore ostacolo riguarda inoltre l’irreversibilità dell’operazione di caricamento su blockchain dell’NFT in violazione dei diritti altrui: non potrà mai eliminarsi ma si potrà al massimo chiedere alle piattaforme di marketplace di impedirne la vendita, almeno sui canali di vendita più gettonati. Vi sono poi nuove potenzialità di rischi per le aziende, per esempio nel caso dei domini NFT registrati da soggetti non titolari che da un lato impediscono la registrazione di domini uguali da parte dei legittimi titolari, dall’altro, dal momento che i domini NFT possono utilizzarsi anche come nominativi di un wallet, in un prossimo futuro in cui dovesse essere possibile effettuare pagamenti con le criptovalute in via generalizzata, vi saranno soggetti che chiederanno dei pagamenti fingendosi veri titolari di un determinato bene, servizio, e del relativo credito.

Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, infine, è innegabile che alcune blockchain consumino moltissima energia per il lavoro impiegato dai server ogni qualvolta sia da aggiungere un nuovo blocco e, sebbene vi siano blockchain con diversi meccanismi di consenso (esempio la proof of stake Algorand) che consumano molto meno delle blockchain proof of work (come Bitcoin ed Ethereum in origine, anche se ora la seconda sta passando al proof of stake): si stima che ogni anno la blockchain (intesa in senso ampio con riferimento alle proof of work) consumi l’equivalente energetico di un Paese relativamente piccolo come la quale Malesia o la Svezia e che una singola transazione di token possa arrivare a ‘pesare’ l’equivalente di oltre 1.000 Kg di CO2. Qui si apre un tema dibattuto, e si aprirebbe poi il ragionamento anche sulle fonti di approvvigionamento dell’energia consumata, oltre che sul valore espresso – ed intrinseco – nelle relative transazioni e casi d’uso. Vi sono poi “layer 2” o applicazioni (quali ad esempio “lightning network”), che permettono di effettuare transazioni off-chain e riconciliare i dati con la blockchain sottostante solo in determinati casi, ottimizzando i consumi. Vi sono infine anche iniziative per il miglioramento ambientale basate proprio su alcune tecnologie blockchain (in grado di certificare la sostenibilità di un prodotto, minimizzare gli sprechi, ottimizzare processi e trasparenza delle catene di approvvigionamento, etc.), anche se ciò potrebbe risultare di primo acchito una contraddizione in termini.

A livello legislativo, in che modo si è mosso e si sta muovendo il legislatore per regolamentare l’utilizzo degli NFT?

È normale che lo sviluppo tecnologico su questioni così innovative preceda la normazione e la regolamentazione specifica, e che quest’ultima sconti un sistematico ritardo rispetto allo sviluppo della tecnica. Sugli NFT non vi sono al momento attuale, in Italia, appositi testi legislativi (né sembrerebbe ‘ictu oculi’ riferibile agli NFT – che non sembrano poter rientrare nel novero delle valute virtuali – il decreto del MEF entrato in vigore il 17 febbraio ed istitutivo del registro degli operatori in valute virtuali presso l’OAM, Organismo degli Agenti e dei Mediatori creditizi): la questione non è di semplice normazione, del resto. È da auspicare che vengano creati appositi tavoli interdisciplinari, formati da soggetti esperti nelle diverse e molteplici materie coinvolte, giuridiche, tecniche e fiscali, ad esempio. Se si pensa agli effettivi casi d’uso degli NFT, e alla possibile compresenza di più casi d’uso in relazione a determinati NFT, è chiaro che una normazione in grado di affrontare e contrastare problematiche e abusi, contestualmente stimolando – e per lo meno non rallentando – lo sviluppo tecnologico ‘buono’ in tale settore, potenziale driver di crescita e competitività, dovrà venire affrontata con estrema attenzione, consapevolezza, conoscenza e cautela da parte del legislatore europeo e nazionale.

A livello europeo, mentre da un lato la proposta di regolamento europeo relativo ai mercati delle cripto-attività (cosiddetta MiCAR) ancora non è stata ancora approvata, è appena entrato in vigore – il 22 giugno – il Regolamento U.E. 858/2022 (parte del “Digital Finance Package”) volto ad introdurre un regime pilota (cosiddetto “sandbox”) sulle infrastrutture di mercato basate sulle cosiddette “Distributer Ledger Tecnologies” (quale è la blockchain). Tale regolamento (che sarà direttamente applicabile negli Stati Membri dell’Unione Europea dal marzo 2023) introduce una definizione di strumento finanziario DLT come quello strumento finanziario (rispondente alla definizione della cosiddetta MiFID II) emesso, registrato, trasferito o conservato mediante tecnologie a registro distribuito DLT. Questa rimane tuttavia una normativa di settore, riguardando l’aspetto finanziario (che è solo uno degli aspetti potenzialmente connessi ai token, siano essi fungibili, o infungibili). Si può infine immaginare, con riferimento ai trasferimenti di NFT, che il regolamento DSA (Digital Service Act) in corso di approvazione in ambito UE si applicherà anche ai marketplace che operano con blockchain, che quantomeno saranno verosimilmente tenuti a possedere i dati identificativi dei loro utenti e a farne ‘disclosure’ con i titolari dei diritti violati. Ciò si andrà ad aggiungere alla già attuale applicazione della normativa generale sul diritto d’autore.

Quali consigli è possibile dare alle aziende per abilitare un utilizzo ottimale degli NFT?

Sicuramente il primo consiglio è rivolgersi a consulenti competenti non solo nel campo del diritto e della proprietà intellettuale (marchi, copyright, design, domini…), ma anche degli aspetti più prettamente tecnologici relativi alla blockchain e ai relativi smart contract, che lavorino in sinergia con un team di esperti informatici che siano in grado di fornire le risposte necessarie dal punto di vista tecnico. In questo senso, Studio Previti, che presenta una forte vocazione sulle nuove tecnologie, ha da tempo consolidato le proprie competenze sul campo IP e blockchain, e opera in sinergia con una società di tecnici ed esperti informatici, SP Tech, in grado di affiancare in tempo reale i legali per fornire ai clienti un servizio a 360 gradi.

In che modo a vostro parere potrà evolversi l’utilizzo degli NFT così come la loro regolamentazione?

Secondo alcuni il mondo degli NFT sarebbe una ‘bolla’: il riferimento è chiaramente agli aspetti più speculativi legati a questo mondo, che potrebbero chiaramente andare incontro a forti oscillazioni o flessioni. Se si guarda però ai mercati americani e asiatici, storicamente più attivi, sviluppati e precursori nel campo, ci si accorge come il fenomeno nel suo complesso al contrario non sembri affatto corrispondere ad una bolla temporanea ma anzi di un nuovo mercato in forte evoluzione, con diverse importanti applicazioni pratiche. Il mondo degli NFT, nato nell’ambito del gaming (anche applicato al campo dello sport, ad esempio), è oggi trainato anche dal mondo dell’arte (con i vantaggi in tema di prova della titolarità, e circolazione di un’opera digitale nativa, per esempio), ma anche della ‘vita’ nel cosiddetto Metaverso particolarmente spinta dalla classe più giovane dei consumatori, con un’accelerazione nell’adozione sicuramente spinta anche durante i lockdown seguiti al Covid. In conclusione, per la stragrande maggioranza delle aziende vi sono domande essenziali (anche pensando alla concorrenza) cui rispondere: “abbiamo spazio di sviluppo e crescita rispetto all’ambito blockchain? Perché? Dobbiamo adottare specifiche cautele relativamente a questo ambito? Quali?”.


A cura della redazione

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