Aziende data enabled: tecnologia ma anche organizzazione

Questo è il titolo della tavola rotonda organizzata da Horsa Insight insieme alla rivista Office Automation, per discutere di data analytics in azienda.

Rendere i dati un elemento rilevante per l’impresa. Questo è un tema estremamente attuale che coinvolge non solo l’area IT, ma anche il business e tutta l’organizzazione aziendale. Una cultura basata sulla data analytics, infatti, consente di lavorare meglio e di prendere decisioni strategiche vincenti. Perchè questo avvenga è importante disporre delle persone con le competenze adeguate, ma anche puntare sulla formazione e sulla crescita della consapevolezza a tutti i livelli. Per parlare di queste tematiche, Horsa Insight, società del Gruppo Horsa, insieme a Soiel International, ha organizzato una tavola rotonda.

Horsa Insight si occupa dello sviluppo della data analytics a 360 gradi, inclusa l’attività di consulenza per lo sviluppo di percorsi di data strategy, data literacy e di sostegno al rafforzamento degli abilitatori non tecnologici, come organizzazione e competenze.

La tavola rotonda, moderata da Paolo Morati, giornalista di Office Automation, ha visto la presenza di aziende di diversi settori.

Queste sono le domande che hanno fatto da spunto al dibattito:

1.Oggi, a suo parere, quanto è sentito il tema della data analytics, inteso come percorso che parte dalla cultura e dall’organizzazione anziché dalla tecnologia e quali sono gli ostacoli che possono impedire questo tipo di approccio?

2. Quali sono i passi che ritenete fondamentali per diffondere la cultura della data analytics in una organizzazione e quali, invece, i benefici che si possono ottenere seguendo un percorso virtuoso, capace di coinvolgere tutti i membri del team? Di cosa oggi le aziende hanno effettivamente bisogno per raggiungere tale obiettivo?

3.Quali sono le competenze che entrano in gioco quando si parla di adozione e uso della data analytics? Quali sono i reparti coinvolti, come si possono acquisire e diffondere queste competenze e quali sono le sfide che si possono incontrare su questo fronte?

Angela Di Biaso

Direttore analisi strategiche e business intelligence di Emmelibri

Emmelibri è un nome poco conosciuto al pubblico ma molto noto, invece, agli attori della filiera editoriale, quali editori, rivenditori e librai. È una sub holding di Messaggerie Italiane che, accanto a Emmelibri, ha anche una seconda sub holding, il gruppo editoriale Mauri Spagnol di cui fanno parte molti editori noti al pubblico come Longanesi, Garzanti, Salani, La Coccinella e tanti altri. All’interno del Gruppo ci sono anche società che si occupano di distribuzione nella GDO e società di servizi legati al mondo dei libri. Messaggerie Libri, parte di Emmelibri, distribuisce volumi di oltre 600 editori.

Il processo di erogazione dei dati, in Messaggerie Libri, è strategico.

Messaggerie Libri non produce, non vende e non decide le quantità di volumi da realizzare, svolge un puro servizio di logistica, di ricevimento degli ordini, di consegna dei libri al trade, di incasso dei pagamenti. Il suo servizio è del tutto neutrale e rispetta l’indipendenza di ciascun editore. Ogni editore ha infatti reti di vendita diverse, politiche commerciali e di produzione completamente diverse.

Messaggerie Libri è il riferimento nel mercato editoriale per quanto riguarda i sistemi che erogano dati e di conseguenza ci siamo mossi anche nello sviluppo della business intelligence e dei data analytics. Nel Gruppo esiste una grande ricchezza di dati sulla cui erogazione dobbiamo garantire correttezza, sicurezza e riservatezza.

Nel mio ruolo vedo ogni giorno molto dati, però alcuni, proprio per la necessità di mantenere la riservatezza, non sono neppure per me accessibili. Non vedo nomi e cognomi dei clienti, non ho accesso ai dati di altri editori. Dispongo solo di metadati, perché la riservatezza del dato è una garanzia che diamo al mercato.

Nessuno deve essere messo in condizione di conoscere i dati di qualcun altro; tutto questo facilita la cultura del dato in azienda. Il proprietario del dato è sicuramente il business, ma per noi il proprietario del dato è anche l’editore da un lato e il cliente dall’altro.

Da un sistema di business intelligence tradizionale, vincolato all’uso di Excel, siamo passati a sistemi più complessi e sicuri. Abbiamo lavorato su una ‘flexible’ BI, da cui è possibile estrarre quanto serve all’utente con la garanzia che quanto si estrae è sempre corretto. Una serie di visualizzazioni preimpostate da noi consente all’editore di ricostruirne e rielaborarne di completamente nuove.

In sintesi, non produciamo niente ma realizziamo dati. La direzione in cui lavoro sta operando per rafforzare ulteriormente la cultura del dato. La solidità del dato non è garantita solo dalla mia struttura, è garantita anche dall’IT, una direzione separata, forte e solida. Siamo supportati anche da una società esterna con data scientist che costruiscono data base.

È il board della holding, tuttavia, a promuovere per primo la cultura della data analytics, una cultura che è diventata ancora più sentita durante la pandemia. In quel periodo eravamo attivi, ma il trade era chiuso ed era difficile capire cosa avveniva sul versante delle vendite. In questo caso l’uso degli analytics è stato fondamentale sia per noi sia per gli editori. In particolare, si è lavorato molto su una semantica comune del dato. In tutto questo la formazione ha giocato un ruolo importante.

Il tema dell’acquisizione di competenze è stato, per noi, un percorso progressivo basato sull’interconnessione tra le persone. Siamo molto interconnessi tra noi, il direttore IT conosce bene il nostro business e noi che lavoriamo nel business conosciamo bene alcune tematiche IT. In tutto il nostro lavoro c’è sempre la necessità di forte integrazione con l’IT, perché la solidità del dato è alla base dei servizi che eroghiamo. Di fondamentale importanza è anche la figura del data manager.

Non abbiamo mai slegato la visione e la capacità di strategia dall’analisi. Per questo abbiamo acquisito autorevolezza sia sulla parte tecnica sia sui meccanismi di business del nostro mercato.

Lorenzo Aratari

Chief data officer di Ducati Motor Holding

Occupandoci di moto, abbiamo anche un’area corse racing e moto GP, siamo un’azienda del Gruppo Volkswagen piuttosto nota nel panorama nazionale e internazionale. Il mio ruolo è di supervisione alla data strategy aziendale e alle aree di data analytics, come business intelligence ed advanced analytics in ottica machine learning e artificial intelligence.

Parlando di data analytics, gli strumenti e le soluzioni che portiamo in azienda sono indirizzate anche a fare governance di processi. La qualità dipende da come le attività di data analytics sono realizzate, perché un processo di input di dati errati, non governato in modo corretto, genera una data quality non adeguata. Gli strumenti di data analytics consentono di rettificare i processi e di migliorarli anche in termini di adozione del patrimonio informativo aziendale.

I pilastri alla base della nostra data strategy possono essere divisi in tecnici, infrastrutturali e umani. Il fattore umano è molto importante perché presuppone la creazione di figure con le adeguate competenze IT e di business. Qualsiasi progetto di data analytics senza il supporto del business è destinato a fallire perché proprio il business è la prima area che deve usufruire dell’analisi dei dati per migliorare l’azienda.

Se la nuova soluzione introdotta è vissuta solo come una soluzione IT verso il business, la soluzione è destinata a non ottenere l’adeguata adoption, generando resistenza al cambiamento.

Nella nostra azienda, IT e business lavorano a stretto contatto. Possiamo contare su giovani davvero ‘smart’ in area business. Anche grazie alla loro disponibilità, siamo riusciti a formarli non solo sulla cultura del dato, ma anche a livello tecnologico. Per esempio, sanno usare strumenti di data visualization in prima persona e riescono a presentare il dato al top management attraverso strumenti appropriati di business intelligence. Si tratta, quindi, di un’utenza business che gestisce la governance completa del processo, con le competenze analitiche adeguate.

Excel può essere un amico/nemico del data analyst, soprattutto quando si parla di soluzione Excel destrutturate. In genere distinguo tra un ingaggio su utenti con esperienza in ambito data analytics e utenti nuovi, che devono essere conquistati con un approccio innovativo. Uno dei punti fondamentali è dimostrare l’immediatezza degli strumenti tecnologici che presuppongono un cambiamento di modalità e di approccio ma, nello stesso tempo, possono migliorare le attività quotidiane.

Fondamentale è dimostrare che il nuovo strumento fa risparmiare tempo che la persona di business potrà impegnare in attività di maggior valore. Il secondo aspetto è far capire all’utente business che non perderà la ownership del dato, ma che potrà aumentare la propria consapevolezza sul dato stesso.

In questo modo si combatte l’idea che alcuni hanno secondo cui lo strumento introdotto gli toglierà il proprio ruolo in azienda. Questo, spesso, è un forte elemento di resistenza al cambiamento quando si approccia la data analytics.

Riportando anche al top management di Gruppo è fondamentale poter consegnare dati certificati. Riguardo alle competenze necessarie e a come coltivarle in una struttura aziendale, non è facile dare una risposta, perché il percorso lavorativo richiede molta energia. Dobbiamo avere la giusta formazione, comprendere quali sono le soluzioni più adeguate, non si finisce mai di imparare.

Anche ChatGpt, per esempio, potrebbe diventare uno strumento fondamentale per creare valore e cultura in un’impresa.

Nelle attività di promozione della data culture in azienda, è necessario individuare qual è la metodologia più corretta da usare. Si può ricorrere a consulenti esterni che formano il personale aziendale o si può puntare a formatori interni. Quindi vanno valutate le persone e le competenze disponibili per decidere se investire direttamente sulla formazione o sull’insourcing, portando in casa esperti in grado di guidare le scelte aziendali. Importante è anche capire se orientarsi sulla formazione di personale IT o di personale di business per compiere la scelta ottimale.

Massimo Duca

Responsabile delivery business intelligence del Gruppo Hera

Il Gruppo Hera è una multiutility italiana che opera nei settori dell’energia, dell’acqua, del gas e dei servizi ambientali. L’azienda punta a fornire servizi efficienti e sostenibili, contribuendo allo sviluppo delle comunità locali e alla protezione dell’ambiente. Gruppo Hera promuove l’innovazione tecnologica e il tema della data analytics è ovviamente molto sentito da diverso tempo, ma negli ultimi tre anni circa si è verificata una forte accelerazione negli investimenti.

Ci siamo dati infatti l’obiettivo di diventare una data driven company; per questo è stata formalizzata una data strategy, fortemente voluta dai vertici del Gruppo, mettendo in pratica questo percorso.

L’obiettivo è abilitare le business unit a essere sempre più data driven e indipendenti nel gestire le tecnologie di data analytics in un framework organizzativo e tecnologico coerente. Fino a pochi anni fa le progettualità di business intelligence/data analytics erano guidate dai sistemi informativi e implementate in sistemi on premise. Con la data strategy si è definito il modello ‘hub & spoke’ da adottare, ossia individuando un hub gestito dalla direzione innovazione di gruppo con il supporto organizzativo della funzione HR e con la possibilità per ogni business unit (spoke) di costruirsi i propri modelli di data analytics in maniera autonoma coerentemente con linee guida fornite.

Abbiamo scelto il data mesh, un paradigma organizzativo che ha, come primo caposaldo, il dato definito come prodotto (data product). I data product sono caratterizzati da un owner individuato nel business che garantisca che il dato da lui gestito sia utilizzabile e di qualità in modo che possa essere utilizzabile da tutto il gruppo.

Le linee guida organizzative e culturali sono affiancate da linee guida tecnologiche in modo che gli sviluppi dei prodotti dati avvengano in modo coerente fra i vari gruppi di lavoro utilizzando la tecnologia cloud che agevola questo approccio.

Gli ostacoli fondamentali sono, in primo luogo, organizzativi. Bisogna definire e formare nuove figure professionali quali l’owner del dato e il personale tecnico a supporto (steward).

Il percorso di data strategy è iniziato a partire dall’individuazione e realizzazione di progetti pilota per testare il nuovo approccio e valutarne eventuali criticità sia organizzative sia tecnologiche.

Per diffondere la cultura della data analytics, in Hera è stata sviluppata una data strategy, con una sponsorship di alto livello e linee guida che devono essere seguite da tutta l’azienda.

In tutto questo il gruppo Hera sta seguendo due direttrici. La prima è formativa e può essere erogata durante le progettualità tramite la classica formazione on the job o con formazione erogata dall’area risorse umane.

L’altra direttrice è finalizzata alla crescita di competenze delle strutture di business perché quest’area possa essere il più possibile autonoma a rispondere ai propri bisogni analitici, con gli strumenti moderni. Si tratta, quindi, di arricchire queste strutture con personale competente di dati e analytics o facendo confluire in esse persone con competenze più tecniche, magari provenienti dall’area sistemi informativi, o assumendole dall’esterno. Molto ricercata è, per esempio, la figura del data scientist, difficile da formare internamente e molto richiesta sul mercato del lavoro.

Data analytics è un termine molto vasto, che comprende diverse tecnologie e modalità di utilizzo. Servono competenze business e competenze tecnologiche. Importante, però, è che quanti utilizzano le piattaforme abbiano le competenze giuste e seguano delle linee guida comuni. Ogni business unit deve saper utilizzare ma anche gestire e creare le tecnologie, supportata dai sistemi informativi e dall’area HR. In questo modo aumenta la libertà del business di ottenere valore dai dati, in un processo che chiamiamo di “decentralizzazione dell’informazione”.

La sfida è sempre quella di tenere una governance adeguata su tutto il patrimonio informativo, evitando la ‘shadow analytics’.

Alessandro Golinelli

Global business intelligence & data analytics di Alfasigma

Alfasigma, multinazionale farmaceutica, è tra le prime cinque aziende del settore in Italia per fatturato, mentre sul mercato farmaceutico mondiale si colloca tra le prime cento.

Oggi il tema della data analytics è molto sentito e di fondamentale importanza in una organizzazione aziendale come Alfasigma. Il sistema di raccolta, gestione, trasformazione e presentazione dei dati riguarda differenti livelli. Dobbiamo analizzare dati di storico di almeno cinque anni, mantenendo anche una prospettiva futura di piani a 5 e a 10 anni perché il mondo farmaceutico è vincolato alla cura delle persone. Sono coinvolte più figure interne all’azienda: dal CEO al top management, al business unit director, al middle management. Sono necessarie soluzioni in grado di generare informazioni che guidino le decisioni aziendali strategiche e tattiche in un’ottica di sviluppo di un business sempre più analitico quantitativo in termini di data driven. Per quanto riguarda gli ostacoli che possono impedire o rallentare questo tipo di approccio, ritengo sia in funzione di differenti aspetti come, per esempio, l’adeguamento tecnologico e delle competenze all’interno del sistema azienda. Mi spiego meglio, considerando che la data analytics ha come obiettivo quello di fare prendere decisioni aziendali nell’ottica del business, il punto critico sarà quello di ‘estrarre’ valore dal dato, a prescindere dalla sua natura, e metterlo a sistema, considerando anche come è gestito nella data governance.

La diffusione della cultura aziendale in termini di data analytics è piuttosto articolata. Alfasigma, infatti, è una multinazionale con un portafoglio prodotti diversificato. Il tipo di dato deve essere considerato anche in base al contesto in cui si opera. Il mercato italiano, per esempio, ha caratteristiche diverse rispetto alle consociate attive a livello internazionale.

È quindi necessario considerare differenti approcci e diversi livelli, considerando il principio di visione da global a local e da local a global. Seguendo un percorso virtuoso trasversale aziendale della cultura del data analytics si possono ottenere molteplici benefici, come per esempio un sistema omogeneo di KPIs dei dati quantitativi che permette di prendere decisioni aziendali rapide e a differenti livelli dei dipartimenti aziendali.

Quando si parla di introduzione e utilizzo della data analytics è un data manager specialist che esamina e comprende i dati aziendali per ottenere informazioni utili in base alla visione aziendale. Deve conoscere il dato e deve saperlo gestire.

Il suo compito, attraverso l’analisi dei dati, consiste nell’identificare i principali ‘k-trends’ in collaborazione con i manager dell’azienda e nell’individuare soluzioni veloci per prendere decisioni data-driven. Consideriamo anche che oggi dobbiamo confrontarci con un accesso a dati sempre più numerosi. Questi dati possono provenire da diverse fonti. Di conseguenza, per l’azienda è importante analizzare costantemente questi dati per rimanere competitiva sul mercato. Proprio per la mole di dati da gestire e la varietà delle loro sorgenti, a chi lavora nell’area della data analysis sono richieste competenze scientifiche/statistiche, oltre a capacità di gestione delle fonti, nonché comunicative.

Quindi è necessario avere capacità di raccolta dati, organizzazione e strutturazione dei dati, creazione e implementazione di metodi statistici per l’interpretazione dei dati e, non ultimi, comunicazione della propria analisi e trasposizione grafica dei dati in maniera sintetica e chiara. In Alfasigma tutto questo coinvolge differenti dipartimenti aziendali: le business unit dell’HQ, le funzioni di marketing strategico, il dipartimento information tech, la divisione internazionale e anche le affiliate estere. Quindi si possono incontrare sfide piuttosto complesse con una visione da global a local e viceversa e tutte le complessità tecnologiche che ne derivano.

Giorgio Mombelli

Data science manager di Gruppo A2A

Il Gruppo A2A è una delle principali multiutility italiane. Siamo attivi nel mercato del ciclo integrato dei rifiuti, nella distribuzione e vendita di energia elettrica e gas e nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Nel mondo A2A, il tema della data analytics è molto sentito; la società sta investendo molto nell’area dati e in strutture tecnologiche a supporto del processo evolutivo per diventare sempre più una data-driven company. Sta investendo anche nelle risorse interne e nel costruire team di competenza in grado di fare da ‘evangelisti’, diffondendo in azienda una nuova mentalità, un approccio innovativo che parte dai dati.

È importante chiedersi in quale modo procedere per introdurre il tema all’interno dell’azienda. Di importanza rilevante è una parte basata sulla progettualità e su casi d’uso di successo in ottica ‘quick win’ in modo da far comprendere che dall’utilizzo strutturato dei dati, abbinato ad algoritmi, è possibile ottenere molto valore. Un secondo aspetto riguarda la costruzione di figure interne o team trasversali perché il tema dei dati è a metà strada tra la tecnologia e il business. La classica figura dell’IT ha un approccio tecnico, focalizzato sulle tecnologie, mentre chi si occupa di business è più focalizzato sui processi. Fondamentale sarà formare un team interno composto da data scientist, data analyst, data architect, data engeneer che siano grado di garantire le competenze necessarie per colmare il gap tra IT e business. Questo percorso è determinante per costruire una data strategy e una strategia generale per creare, in tutta l’azienda, un approccio data-driven.

Nel mondo A2A ci sono già molte aree che, per loro natura e storia, sono molto focalizzate sull’utilizzo dei dati, per esempio l’area finance, l’area del risk management o del marketing. Ci sono anche aree in cui il processo di adozione di una mentalità data driven è più sfidante. In questi casi, per introdurre una cultura data-driven è necessario puntare su un’adeguata strategia, una data strategy che sia in grado di coniugare maturità ed esigenze differenti, nonché mettere a fattor comune esperienze e casi di successo.

Per lo sviluppo di una cultura di data analytics è necessario sviluppare una consapevolezza che può provenire da molte fonti. Innanzitutto, è fondamentale introdurre, all’interno dell’azienda, figure giovani con la formazione adeguata che siano in grado e abbiano la possibilità di accedere e manipolare correttamente il dato. Il secondo aspetto che deve entrare in gioco riguarda l’accrescimento della consapevolezza anche grazie a programmi di upskilling indirizzati alle persone già attive in azienda. Il Gruppo A2A ha investito in formazione e ha introdotto una data strategy che cerca di coniugare strutture organizzative e strumenti con obiettivi di alto livello.

Sul versante delle competenze, le figure più tecniche, con specializzazioni più verticali sulla tecnologia, quali data architect, data engineer, sono sicuramente importanti per elaborare inizialmente un piano unite a figure che possono essere più specializzate sul contesto del business e dei processi quali data analyst e data scientist.

Una figura determinante in azienda, di leadership, è poi quella del chief data officer, con competenze sia tecniche sia di business in grado di interagire con leader di alto livello per strutturare il percorso del Gruppo. All’interno delle varie strutture di business è anche importante che si sviluppino le competenze di base per analizzare e utilizzare i dati. Oggi, nei percorsi di laurea, sono previsti anche corsi base sull’utilizzo degli strumenti necessari per la gestione del dato.

Un’altra figura importante, in grado di portare progettualità anche complesse di analytics, è quella del data translator, che può partire da competenze IT o da competenze business e può contribuire al percorso di crescita della cultura del dato aziendale.

Alessandro Di Maio

CIO di Farvima Medicinali S.P.A.

Farvima Medicinali è tra i tre principali player italiani specializzati nella distribuzione di farmaci; i nostri clienti sono le farmacie e le ASL. Possiamo dire che nella nostra azienda la logistica è una componente che conta per il 90%, a cui si affianca la parte amministrativa.

Il tema data analytics in Farvima è molto sentito da diversi anni, la necessità di una nuova cultura dell’analisi dati è stata avvertita, inizialmente, dal board e successivamente è stata trasmessa a tutta l’azienda. A oggi gli strumenti di data analytics sono entrati a far parte di una consolidata e ordinaria gestione aziendale.

Un consiglio che si può dare alle imprese che si affacciano a questo mondo è rivolgersi a figure professionali specifiche e non ‘improvvisarsi’ riciclando in maniera forzata le proprie risorse. È fondamentale capire che se non si hanno competenze su un nuovo argomento è indispensabile ricorrere a professionisti del settore, in grado di guidare l’azienda all’uso delle nuove tecnologie.

Il know how dei propri dipendenti è fondamentale per dare senso alle analisi dati e il ruolo di supporto del proprio reparto IT è vitale per realizzare le strutture su cui far girare i nuovi sistemi. Ma se si vuole internalizzare questo tipo di strumenti è necessario assumere persone già skillate o prevedere opportuna formazione per le proprie risorse, in questo secondo caso accettando tempi per nulla brevi prima di ottenere reale produttività.

Una volta introdotto a questo nuovo mondo, il management dovrà individuare il modo corretto di sfruttare i risultati prodotti dalle data analytics; maturando con il tempo si imparerà a interpretare in modo asettico i dati evitando ‘bias’ quali per esempio la ricerca di una conferma forzata alle proprie ipotesi.

Un consiglio per i neofiti è riguardare sempre le analisi a propria disposizione prima di commissionarne di nuove, in questo modo si contengono i costi di questi strumenti e si evita di generare nuovo materiale superfluo e/o ridondante che renderebbe successivamente dispersivo il proprio lavoro. In generale meglio evitare di creare un’azienda ‘report-centrica’, generando una quantità irragionevole di dati che nessuno avrebbe realmente il tempo di controllare o utilizzare.

Passando alla realizzazione effettiva di un sistema di data analytics, come è evidente, tutto gira intorno ai dati che devono essere correnti alla fonte o essere almeno sottoposti a una fase preventiva di data mining.

È essenziale sensibilizzare tutti gli operatori coinvolti nell’inserimento dati al tema della verifica e correttezza di quanto producono. Non deve essere saltato nessun passaggio nell’uso dei software aziendali, altrimenti chi si occuperà delle fasi successive del lavoro potrebbe non essere in grado di garantire un risultato di qualità. Gestendo questa fase si deve essere pronti a fronteggiare la resistenza al cambiamento che spesso nasce dal timore di essere monitorati accanto alla paura di perdere la proprietà del dato e di dover modificare un modo di lavorare consolidato uscendo così dalla zona di comfort.

Nel nostro caso è risultato vincente evidenziare i vantaggi delle nuove metodologie che hanno snellito alcune fasi del lavoro in diversi reparti; in questo modo abbiamo ottenuto il coinvolgimento di tutti i nostri collaboratori.

Per quanto riguarda il team che farà da owner delle data analyticts, che questo sia composto da risorse interne, esterne o che sia ibrido, sarà necessario prevedere l’introduzione di alcune figure professionali. Come minimo un project manager e un data analyst oltre a un data base administrator che di solito è internalizzato. Sarà il project manager, in base alle dimensioni dell’azienda e alle tecnologie coinvolte, a individuare le altre figure necessarie.

In ogni caso è determinante impostare un clima di collaborazione tra le persone, tra il data analyst e i referenti dei diversi reparti aziendali; solo lavorando insieme sarà possibile costruire analisi sensate che portino valore all’azienda.

L’opinione di Horsa Insight

Elisabetta Trevisan

Practice director analytics consulting per Horsa Insight

Sono molteplici le strade che ciascuna azienda può intraprendere per diventare data enabled o data driven: ogni azienda ha le sue specificità e per questo è fondamentale individuare quale sia il percorso più adatto per la propria organizzazione.

Uno degli elementi fondamentali per garantire un percorso di successo è l’aspetto organizzativo. Per questo sono fondamentali le persone e la loro formazione, nonché disporre della giusta cultura aziendale. Talvolta, però, all’interno dell’azienda le diverse business unit hanno livelli di maturità analitica differenti e non viaggiano alla stessa velocità.

Per alcune aree, infatti, è più facile adottare un determinato modello, per altre lo è di meno. A volte alle scelte innovative si preferisce l’abitudine, oppure la tipologia di soluzione introdotta risulta più adatta per determinate aree rispetto ad altre. Un modo per risolvere il problema può essere quello di adottare un modello organizzativo che tenga conto di queste diversità.

In molte aziende la definizione della strategia sui dati deriva dall’alto, dal board, dal management, con un approccio top down. L’esempio positivo che arriva dal top management indubbiamente favorisce un aumento della propensione al dato anche da parte di chi lavora a livelli inferiori dell’organizzazione. Tuttavia non bisogna dimenticare che perché una strategia abbia successo l’approccio deve essere corale.

Quando tutta l’azienda è coinvolta nella definizione della strada da intraprendere, infatti, il livello di adozione è più alto e si raggiungono i risultati migliori.

Coinvolgere il business, rendere le persone più consapevoli, è un tema fondamentale, ma è anche una delle parti più ostiche da affrontare.

Un altro elemento fondamentale di cui tener conto per l’individuazione del modello organizzativo più adatto è come conciliare la necessità di qualità e affidabilità del dato (‘unique source of truth’) con il bisogno di agilità nella sua fruizione richiesto dal business.

Poter contare, infatti, su elementi organizzativi ben definiti è fondamentale: è un tema di governance, di linee guida, che fanno sì che la decentralizzazione avvenga comunque e sia omogenea, evitando la deriva verso un uso ‘anarchico’ del dato.

Infine, c’è il tema delle competenze, che ha una sua complessità. Idealmente, ci sono figure di leadership importanti, che a un certo punto devono essere inserite all’interno dell’organizzazione. Tuttavia, le competenze e i ruoli associati devono essere in linea con le esigenze aziendali.

Lo sviluppo delle competenze necessarie alla crescita nel medio lungo termine deve essere parte integrante della data strategy.

È fondamentale realizzare una mappatura continua delle competenze legate al tema data & analytics al proprio interno, per garantire un allineamento tra le skill presenti e quelle necessarie. L’acquisizione delle competenze necessarie può avvenire in diversi modi: attraverso la crescita del personale interno, l’attivazione di processi di recruiting o, quando il costo per l’acquisizione di una specifica competenza è troppo alto, attraverso il ricorso all’outsourcing.



A cura della redazione

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