Tra Bob Dylan, Elio e il fingerpicking

The Sound of IT: Intervista a Paolo Ardemagni, Area VP Southern Europe Middle East & Africa di SentinelOne

Quando ha cominciato ad appassionarsi alla musica?

Tutto è iniziato all’età di 10 anni, quando chiesi a mia madre di scegliere una chitarra tra i premi proposti da una raccolta punti di una marca di detersivi. Da lì cominciai a studiare da autodidatta i primi accordi. Passato qualche anno, quando all’inizio degli Anni ‘70 stavano nascendo le prime radio pirata, insieme a Stefano Belisari (Elio), che frequentavo quotidianamente, ci ritrovavamo ad ascoltare musica insieme. Nel frattempo, ero affascinato dalla lingua inglese, iniziando ad approfondirla tramite i testi di Bob Dylan che aveva già scritto diversi capolavori, quelli che gli avrebbero poi fatto vincere il Premio Nobel 40 anni dopo.

Comprai un libro sullo stesso Dylan curato da Stefano Rizzo (Blues, ballate e canzoni), con i testi a fronte. Un testo letteralmente divorato, imparandolo a memoria, insieme alla biografia scritta da Antony Scaduto nel 1971. Iniziai quindi ad acquistare anche i dischi, partendo da ‘Desire’ del 1976, a cui partecipò Emmylou Harris, e andando poi a ritroso sui primi lavori. Oggi ne ho un centinaio, e Dylan posso considerarlo il mio mentore, musicalmente parlando, un artista che ha spaziato e cambiato su tutti i generi e i modi di suonare, dal folk al rock al beat al country al gospel.… Per ogni suo pezzo ci sono come minimo un centinaio di versioni diverse.

Da lì mi appassionai alla musica americana, dal folk al country, a nomi come Crosby, Stills, Nash and Young, Grateful Dead, Jefferson Airplane, e quindi a quanto arrivava dalla West Coast. Anni di grande fermento, dove si viveva la seconda ondata del movimento del 1968/70. Finite le superiori decisi di studiare Lingue Moderne, con indirizzo letteratura anglo americana, seguendo tutto quello che ne consegue, comprese la beat generation quindi Allen Ginsberg, l’on the road, Jack Kerouac. In Italia l’artista che reputavo (e reputo) più simile al mio genere preferito è Francesco De Gregori che nel 2015 ha tra l’altro pubblicato Amore e furto, un disco dedicato proprio ai brani di Bob Dylan tradotti in italiano. Cito anche suo fratello Luigi Grechi, grandissimo cantautore.

Paolo Ardemagni

Diversi musicisti formatisi in quell’epoca spesso citano anche i Beatles come ‘scintilla’ che ha poi influenzato la propria musica…

Partiamo da un episodio del 1966. Durante uno show del tour a Manchester Bob Dylan viene chiamato ‘Giuda’ da uno spettatore per aver tradito il folk aggiungendo la chitarra elettrica alla sua musica. Dylan rispose: “Tu sei un bugiardo” e girandosi chiese al suo gruppo di suonare forte partendo con Like a Rolling Stone. La sua svolta rock era di fatto dovuta anche ai Beatles che erano nati già rock. I Beatles, dal canto loro, invece guardavano al modo in cui Dylan scriveva le canzoni che, senza la chitarra elettrica, potevano essere suonate benissimo anche con una chitarra acustica. Quindi chi suonava elettrico aveva come riferimento i Beatles, più ancora dei Rolling Stones che di fatto prima di esplodere facevano cover di blues. I Beatles hanno costruito una struttura musicale loro.

Come si è sviluppata la sua storia di musicista?

All’età di 16 anni iniziai a fare piano bar, esibendomi con chitarra e armonica, suonando in locali storici di Milano come le Scimmie, il Biblos, Caffè Roma e altri ancora. Nel frattempo, feci conoscere Davide Civaschi (Cesareo) a Elio, unendo al gruppo anche Sergio Conforti (Rocco Tanica) perché avevo l’intenzione di fare un disco. Loro poi si sono piaciuti e sono andati avanti dando vita a Elio e le Storie Tese mentre io coinvolsi l’allora bassista di Elio e un batterista andando in tour. Ci chiamavamo i New Gamblers, c’era anche Marco Columbro, suonavamo musica country con tanto di ballerine, sponsorizzati tra l’altro, in modo mascherato, da un brand di sigarette. Tuttavia, la maggioranza delle mie performance erano da solista con repertorio di musica americana. Ho composto una cinquantina di pezzi con regolare iscrizione alla Siae. I primi, non essendo ancora iscritto, furono depositati proprio da Elio.

Poi, una volta iniziato a lavorare, ho preso sul serio la mia professione concludendo la mia ‘carriera’ musicale. Molto probabilmente non avevo il talento giusto per sfondare. La mia voce mi permette di accompagnarmi, non ho la tecnica di un Alex Britti alla chitarra anche se la suono bene, in stile fingerpicking, ma non sono un virtuoso. Questo, unito al fatto che uno su cento milioni ce la fa, non mi ha permesso di emergere. Senza dimenticare che bisogna anche curare l’immagine e io non riuscivo a gestire anche questi aspetti.

Quali sono le differenze rispetto ad oggi?

All’epoca dovevi dimostrare di suonare. Oggi l’elettronica maschera tutto. In ogni caso, ci vuole orecchio come diceva Jannacci…

Può suggerirci alcuni dischi e artisti da ascoltare?

Dovrei citare tutta la discografia di Bob Dylan, ma scelgo ‘The Freewheelin’ che è il suo secondo album, del 1963, quello che lo ha consacrato e che contiene ‘Blowin In The Wind’. Quello che mi piace di più è invece ‘Blood on the Tracks’, del 1975, che ha effettivamente segnato un’epoca come è accaduto per tutto quello che lui ha fatto.  ‘Like a Rolling Stone’ è riconosciuta come la canzone del secolo scorso, Dylan è stato il primo a pubblicare un LP doppio con ‘Blonde on Blonde’ del 1966. Da citare anche la canzone dello stesso anno ‘Sad Eyed Lady of the Lowlands’ che durava oltre 11 minuti, qualcosa che all’epoca fece scalpore, occupando un’intera facciata del disco.

Altri artisti da citare sono Deep Purple, Led Zeppelin, Pink Floyd, Emerson Lake and Palmer, Jethro Tull. Tutti quelli del mio percorso dell’epoca per cui quando si acquistava un LP su dieci canzoni nove erano belle, mentre oggi è il contrario. Poi ci sono i Jefferson Airplane, i Grateful Dead, mi è sempre piaciuta molto la musica nera, il blues, il jazz. Quest’ultimo è la musica classica moderna, per la quale serve essere dei bravi musicisti, mentre per fare pop bastano anche dei semplici giri di do. E poi artisti americani non tanto noti in Italia come John Prine, Guy Clark, il movimento di Austin in Texas, in contrapposizione a Nashville che era la capitale del country. A cui si aggiungono New York e Los Angeles, per citare i quattro fulcri della musica negli Stati Uniti.

Sul fronte italiano invece?

‘Rimmel’ e ‘Bufalo Bill’ di Francesco De Gregori, gli inizi di Vasco Rossi. E i due cantautori che mi piacciono di più della tradizione milanese, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci, capaci di unire la ballata popolare alla protesta ante litteram, a loro volta patrocinati da Dario Fo mentore della cultura del non sense, che poi ha generato Cochi e Renato, Walter Valdi, I Gufi. E non è un caso che Elio oggi faccia uno spettacolo su Jannacci, per il quale avevamo una grande affezione. Riguardo a Fabrizio De André, aveva due grandi filoni da cui prese ispirazione. Quello americano di Edgar Lee Masters e quindi l’antologia di Spoon River, e quello francese di Georges Brassens, che all’epoca non mi attirava più di tanto. Desidero anche citare Edoardo Bennato, che mi è servito per imparare il genere chitarra e armonica a bocca, circoscrivendolo ai primi cinque/sei anni della sua carriera.

Oggi come ascolta la musica?

In streaming tramite canali tematici dedicati a jazz, musica classica, musica alternativa americana. Mi collego a una stazione radio di Austin. E poi sono iscritto ai canali dei vari artisti. Sento inoltre i vinili, ho una buona collezione di dischi. Mi piace variare, per esempio ascolto anche la musica sudamericana, come quella cubana. Posso citare Ry Cooder con ‘Buena Vista Social Club’, che è folk. La musica francese, invece, non mi ha mai entusiasmato molto.


Paolo Morati

Giornalista professionista, dal 1997 si occupa dell’evoluzione delle tecnologie ICT destinate al mondo delle imprese e di quei trend e sviluppi infrastrutturali e applicativi che impattano sulla trasformazione di modelli e processi di business, e sull'esperienza di utenti e clien...

Office Automation è il periodico di comunicazione, edito da Soiel International in versione cartacea e on-line, dedicato ai temi dell’ICT e delle soluzioni per il digitale.


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