Squid Game, Netflix, e l’impatto globale dello streaming

Quanto vale una vita umana? 100 milioni di Won (circa 74.000 euro) nel mondo di Squid Game, l’ultima serie che ha fatto impazzire mezzo mondo.

Dal lancio nel 1997 come servizio di noleggio online di DVD alla trasformazione in piattaforma streaming, Netflix ne ha fatta di strada. Ha rilasciato prodotti che, grazie alla presenza in 190 Paesi, hanno raggiunto un pubblico mondiale, dando vita a veri e propri trend globali. Lo scorso settembre, la piattaforma ha centrato nuovamente il bersaglio lanciando Squid Game che, a più di due mesi di distanza, continua a stregare nuovi spettatori, raggiungendo ben 142 milioni di gruppi familiari.

Creata e diretta da Hwang Dong-hyuk, la serie sud coreana si presenta come una spietata parabola della vita moderna, del capitalismo e del sconcertante divario tra ricchi e poveri. Le nove puntate che compongono la prima stagione ruotano intorno a un gioco malato, una brutale competizione in cui 456 giocatori devono cimentarsi in una serie di passatempi per bambini dai macabri risvolti: chi non supera il gioco o non ne rispetta le regole viene ucciso immediatamente. Per ogni partecipante ammazzato, il montepremi finale aumenta di 100 milioni di Won.

Fulcro dell’azione è Seong Gi-hun (Lee Jung-jae), giocatore d’azzardo divorziato, con una figlia a cui non riesce a provvedere, un madre malata che lo mantiene e con enormi debiti da pagare che non riesce a colmare. Attorno a lui, ruotano una serie di personaggi altrettanto disastrati. Cho Sang-woo (Park Hae-soo), vecchio amico d’infanzia di Seong ricercato dalla polizia per aver rubato ingenti somme di denaro ai suoi clienti; Kang Sae-byeok (Jun Ho-Yeon) profuga nordcoreana senza soldi, decisa a vincere il premio per far emigrare la madre, ancora in Corea del Nord, e ottenere l’affidamento del fratello minore; Jang Deok-Su (Heo Sung-tae), gangster indebitato con dei croupier filippini; Abdul Ali (Anupan Tripathi), immigrato pakistano deciso a mantenere la sua famiglia, dopo non essere stato pagato per mesi nella fabbrica in cui lavorava; Han Mi-nyeo (Kim Joo-ryoung), madre single che vede nel gioco un’alternativa migliore al mondo esterno, e Oh II-nam (Oh Yeong-su), povero anziano affetto da un tumore cerebrale.

Uno scenario pop immerso nella disperazione

Squid Game ci offre uno sguardo sull’ingiustizia sociale e sulla disparità di classe che domina la realtà; sulla disperazione di chi non ha, ma deve avere, di chi crede che almeno il gioco, con le sue regole e mettendo tutti i giocatori allo stesso livello, offra più giustizia e imparzialità del mondo esterno. Dong-hyuk realizza una serie complessa, impossibile da non guardare tutta d’un fiato. Una sceneggiatura ricca di colpi di scena sorregge le ottime performance degli attori, immersi in scenografie surreali. Il set, con scene che ricordano quadri di Escher e Magritte in chiave pop, contribuisce a creare una sensazione di estraneamento. I colori brillanti e le atmosfere kitsch si contrappongono in maniera grottesca ai corpi dei giocatori senza vita. La loro morte è trattata con freddezza. I loro nomi sono sostituiti da numeri, a sottolineare la loro poca importanza e il loro essere facilmente rimpiazzabili. La violenza è impersonale nel gioco, ma intima per lo spettatore grazie allo sviluppo dei personaggi. È così impossibile non perdersi nel binge-watching. Lo show ha dato il via a una vera e propria ‘Squid mania’ che ha coinvolto il pubblico dal punto di vista economico, culturale e sociale.

Qualche riflessione sull’impatto dei prodotti mediatici

L’uomo impara e si forma guardandosi attorno, imitando, copiando e riproducendo ciò che vede. Esplorando la realtà, internalizzando i modelli di comportamento delle sue figure di rifermento. Se un tempo queste erano principalmente i genitori, la famiglia di origine e la comunità di appartenenza, con la modernità, i media hanno gradualmente acquisito un ruolo sempre più cruciale nella creazione e prolificazione di punti di riferimento e mode. Infatti, l’industria dell’intrattenimento, che include anche la danza e produzioni musicali, filmiche, radiofoniche e artistiche, ha un’incredibile capacità di influenzare la vita di tutti i giorni della popolazione, producendo contenuti che, inserendosi nell’immaginario collettivo, sono diventati prodotti culturali e prodotti di massa, in quanto destinati a un’ampia fascia della popolazione.

“Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare”, “Mi chiamo Bond, James Bond”, e “Io stavo cor libanese!” sono solo alcuni degli esempi di come l’industria dell’audiovisivo abbia lasciato la sua impronta a livello linguistico nella società. “L’imitazione succede in modo naturale: l’uomo è gregario. Ciò significa che siamo naturalmente sociali e abbiamo bisogno dell’altro per conoscere noi stessi, per identificare in cosa siamo simili o diversi. Tutto questo meccanismo che nasce dai prodotti mediatici funziona come un’ancora per la conoscenza di se stesso ” ha dichiarato la psicologia Deborah Perez a Betway, in un articolo sull’impatto delle serie a seguito dell’aumento esponenziale dello streaming. “L’uomo è quello che è nel suo stare al mondo: agire, produrre, consumare, avere rapporti… In tal modo si palesa l’influenza diretta del prodotto mediatico sulla nostra soggettività.” ha aggiunto Perez.

I prodotti mediatici hanno il potete di influenzare credenze, attitudini, comportamenti individuali ma, in particolar modo grazie alla globalizzazione dei contenuti, possono creare e modificare norme sociali con ripercussioni sull’intera collettività. Secondo un sondaggio del 2018 del Geena Davis Institute of Gender in Media, più del 60% dei partecipanti di genere femminile che conoscevano Dana Scully (Gillian Anderson) nella serie X-Files, credevano che quel personaggio avesse aumentato la loro convinzione nell’importanza delle scienze. Inoltre, i fan dello show erano quelli più propensi a rispondere che le ragazze dovrebbero essere incoraggiate a studiare materie scientifiche. L’impatto che la figura della scienziata di X-Files ha avuto nello stimolare le donne a cimentarsi in carriere scientifiche è stato chiamato ‘l’effetto Scully’.

Internet, la digitalizzazione dell’industria dell’intrattenimento e il proliferare dell’uso dei social media, hanno ampliato ulteriormente la diffusione di norme sociali e trend, velocizzando la loro trasmissione in maniera esponenziale. Nel saggio “Online Entertainment: A New Wave of Media Globalization”, Start Cunningham e David Craig riflettevano sul fenomeno della globalizzazione dei media, concentrandosi in particolare modo sui contenuti caricati sulle piattaforme social e YouTube, mostrando le differenze tra questi e i vecchi sistemi televisivi nazionali, legate a vincoli territoriali. Nel saggio, piattaforme di streaming come Netflix, Amazon o Hulu, venivano viste come vie di mezzo: globali poiché online, ma vincolate comunque a licenze commerciali locali. L’opera è però del 2016, ovvero prima dell’esplosione della creazione di contenuti originali da parte delle piattaforme.

Fenomenologia di Squid Game

La pandemia e il conseguente distanziamento sociale ha contribuito alla migrazione della cultura pop sulle piattaforme di streaming, principale luogo, insieme ai social, della creazione e consumo di esperienze culturali collettive. Se da una parte Netflix & Co hanno “ucciso il mainstream”, proponendo visioni personalizzate e individuali dei contenuti che superano il concetto di fruizione temporale specifica dei prodotti audiovisivi, dall’altra hanno provveduto alla produzione di una nuova forma di mainstream e di esperienza culturale condivisa che ha coinvolto non solo il mondo virtuale. Questo è ovviamente anche il caso di Squid Game, che si è trasformata in un fenomeno culturale. Dal rilascio dello show, secondo Sole Supplier, Vans avrebbe visto un aumento del 7.800% sulla vendita delle sue scarpe bianche, simili a quelle indossate dai giocatori. Sarebbero aumentate anche le vendite di tute verdi. Sebbene non ne sia ancora stato prodotto uno ufficiale, a fine ottobre è stato rilasciato su Steam Crab Game, un videogioco ispirato alla serie che ha già più di 30.000 giocatori attivi.

La serie avrebbe anche stimolato molti content creator a produrre video sull’argomento, rivelando dietro le quinte, proponendo teorie, rivisitando scene ecc… Secondo Vobile, una società di analisi di contenuti, al 3 Novembre l’insieme di video caricati su YouTube e incentrati su Squid Game avrebbero raggiunto i 17 miliardi di visualizzazioni, superando tutti i contenuti legati a Game of Thrones, alla vetta della classifica prima di quel giorno. A fine ottobre era anche stata rilasciata la prima criptovaluta ispirata allo show, e anche il primo grande scam legato alla serie. Lo Squid era stato reso pubblico online come token per partecipare a un gioco online che avrebbe dovuto debuttare a Novembre. Dopo aver raggiunto il 31.000% del valore iniziale, la valuta è finita vicino lo zero, gli investitori sono rimasti senza niente, e sembra che i creatori del token siano riusciti a guadagnare da questa truffa circa 2 milioni di dollari. E se a Milano dovrebbe aprire un’escape room a tema Squid Game, ad Abu Dhabi, il Centro Culturale Coreano degli Emirati Arabi ha indetto un torneo ispirato ai giochi della serie, ma senza risvolti cruenti. Il weekend di Halloween ha visto il boom di serate a tema in diversi Paesi.

È ancora troppo presto per conoscere con esattezza cosa rimarrà di Squid Game nell’immaginario collettivo, ma il suo impatto globale è indiscutibile. Chi vivrà, vedrà. L’unica certezza è che la seconda stagione è già stata confermata.


Serena B. Ritondale

Serena B. Ritondale nasce a Roma nel 1991. Comincia la sua carriera da redattrice scrivendo per alcune testate online di letteratura e cinema, tra cui Vertigo24 dove ricopre il ruolo di Vice Caporedattore. Si laurea in Sociologia all’Università Sapienza di Roma e successivamente si diploma all’Istituto Rossellini come Videomaker per cinema, tv e web....

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