Chi ha ucciso la Customer Journey?
Approfondiamo il tema tra ‘messy middle’ e i bias cognitivi applicati alla scelta d’acquisto.
“Il modo in cui le persone prendono decisioni è caotico e lo diventerà ancora di più (…) Sappiamo che quanto avviene tra il primo trigger, ovvero il primo stimolo che innesca il funnel e l’effettiva decisione di acquisto non è lineare e che si tratta di una complicata rete di touchpoint che cambia da una persona all’altra. Quello che conosciamo meno è in che modo gli acquirenti elaborano tutte le informazioni e le opzioni che incontrano durante il percorso. Il punto fondamentale, che abbiamo cercato di capire con questa ricerca, è come questo processo di elaborazione influenzi le decisioni finali di acquisto delle persone”.
In un articolo dello scorso luglio 2020 Alistair Rennie e Jonny Protheroe scrivevano queste parole in merito ai fattori determinanti per le scelte d’acquisto dei consumatori che i due ricercatori di Google hanno indagato evidenziando quanto sia sempre più difficile rappresentare il percorso esistente fra il momento iniziale e il momento finale della customer journey di un acquirente, online ma non solo. Il modo in cui le persone prendono decisioni è caotico e destinato in futuro a complicarsi sempre più.
Come sono evolute le cose
Il punto centrale della ricerca è quello di comprendere che cosa influenzi la decisione finale d’acquisto di un cliente. All’inizio il web era infatti usato dagli utenti principalmente come strumento per confrontare prezzi ma, dall’analisi dei dati di ricerca di Google, è emerso che si è rapidamente evoluto in uno strumento per cercare qualunque cosa. Il prezzo/convenienza non è più da tempo la parola chiave più ricercata, ma è stato sostituto dal rapporto best/migliore, inteso come la ricerca del miglior prodotto corrispondente alle proprie esigenze. Questo cambiamento ha reso la comprensione dei comportamenti d’acquisto meno lineare perché il costo è un indicatore quantitativo la cui percezione di convenienza può variare da persona a persona, ma è pur sempre un valore di riferimento preciso, mentre il concetto di qualità non può corrispondere a un’unica interpretazione, perché dipende da ciò che ognuno di noi ritiene migliore in quel dato momento della sua vita in una specifica situazione di ricerca.
I due studiosi hanno compreso che il comportamento da indagare è quello che loro hanno definito come ‘messy middle’, ovvero la fase confusa del processo d’acquisito che si colloca fra il momento iniziale, l’avvio della ricerca, e il momento finale corrispondente all’acquisto stesso (messy in inglese significa disordinato, oppure disordinata). Hanno quindi coinvolto esperti di scienze del comportamento per decifrare il modo in cui i consumatori decidono di acquistare in un ambiente online in cui sono disponibili infinite informazioni. Approfondendo le indagini, hanno quindi scoperto che le persone, in situazione come quelle in cui oggi ci troviamo, adottano ‘bias cognitivi’ utili per affrontare concetti complessi su larga scala.
Cercando di mettere ordine…
Durante la fase caotica si sono delineati due comportamenti corrispondenti a due differenti schemi mentali:
– una fase di attività esplorativa: corrisponde a un momento espansivo durante il quale le persone cercano tutte le informazioni possibili;
– una fase di attività valutativa: una fase riduttiva durante la quale il consumatore sintetizza e sceglie le informazioni più in linea con i propri bisogni e aspettative.
Le due fasi possono essere vissute ripetutamente numerose volte, fino al momento finale dell’acquisto.
Gli studiosi hanno poi anche rilevato che nel processo di esplorazione le persone sono state influenzate soprattutto da sei fattori/bias:
1. Euristica di categoria: brevi descrizioni di informazioni chiave del prodotto che possono semplificare le decisioni di acquisto.
2. Potere dell’immediatezza: più tempo bisogna aspettare per usufruire di un prodotto e minore diventa l’intenzione di acquistarlo.
3. Prova sociale: consigli e recensioni da altre persone, che possono rivelarsi molto efficaci.
4. Bias di scarsità: un prodotto diventa più desiderabile se la sua disponibilità diminuisce.
5. Bias di autorità: l’opinione di un esperto o di una fonte attendibile è particolarmente influente.
6. Potere della gratuità: un regalo incluso con un acquisto, anche se non correlato al prodotto acquistato, può essere un ottimo incentivo.
L’esperimento del brand ‘immaginario’
I ricercatori hanno quindi anche condotto un interessante esperimento con consumatori ai quali sono stati proposti prodotti equivalenti di tre brand diversi. Due brand reali e uno brand immaginario, di cui naturalmente i consumatori non potevano essere a conoscenza. L’indagine ha mostrato che il 28% dei consumatori era disposto a sceglie il brand immaginario di fronte a fattori/vantaggi che venivano presentati o offerti (es. recensioni a 5 stelle o sconto del 20%, dimostrando il potere del bias cognitivo nella scelta d’acquisto.
Per i ricercatori questo non ha significato che il brand non fosse importante, ma che le scienze comportamentali possono essere un potente alleato degli uomini di marketing che devono destreggiarsi in questo percorso confuso in cui devono catturare l’attenzione dei clienti e fidelizzarli.
Sempre secondo Google, ben il 54% dei consumatori italiani ritiene difficile trovare il prodotto che desidera (1 – Google/The Behavioural Architects, “Untangling the Messy Middle”, Dec 2020, Italy, n=10,000 prospective online purchasers across 10 categories, ages 18-65). Disponiamo di troppe informazioni e troppa scelta e questo non ci permette di trovare rapidamente ciò che cerchiamo.
La fedeltà al marchio non è tutto
Rispetto ai sei bias evidenziati, gli esperti italiani di Google hanno però rilevato un settimo fattore decisionale: la componente emozionale. La decisione d’acquisto viene influenzata dal tipo di emozione che il prodotto genera e questo risulta particolarmente vero quando questo comportamento è associato a un prodotto di design.
Nell’esperimento condotto dai ricercatori, è stata dimostrato che se in una pagina sono presenti due brand preferiti dal consumatore, la scelta dell’uno rispetto all’altro varia in modo correlato ai vantaggi offerti o ai bias presenti. Il brand e la fedeltà al marchio sono importanti, ma non sufficienti se contemporaneamente sono presenti altri fattori quali la convenienza, l’ottima esperienza segnalata da altri clienti o una corretta descrizione del prodotto. La scelta del secondo brand preferito o addirittura di un brand sconosciuto, ma apparentemente noto e ben recensito, sono risultati spesso equivalenti se non addirittura vincenti quando i bias cognitivi sono stati usati correttamente. Quante volte vi è capitato di acquistare un prodotto di un brand sconosciuto su Amazon perché meglio recensito di altri dai clienti che lo avevano acquistato?
Come dire le decisioni di acquisto non vengono sempre prese in modo razionale. Utilizzare i bias cognitivi in modo efficace sia nella fase di valutazione che in quella di esplorazione del percorso di acquisto può aiutare le aziende a conquistare quote di mercato, siano esse note o meno note.
Secondo i due studiosi le aziende che vogliono farsi notare nel ‘messy middle’ devono tenere presente i seguenti quattro elementi:
1. Garantire la presenza del brand in modo strategico affinché sia notato nelle fasi esplorative e di sintesi.
2. Applicare i principi delle scienze comportamentali in modo intelligente e responsabile, affinché i consumatori valutino la proposta convincente.
3. Avvicinare il momento iniziale e il momento finale del percorso d’acquisto così da ridurre l’esposizione del consumatore alla sollecitazione di altri brand.
4. Creare in azienda team competenti capaci di andare oltre la tradizionale gestione del brand.