Sostenibilità, obiettivi 2030: c’è un rischio per i cloud data center?
Nel 2022 il cloud è cambiato per sempre. E da quest’anno anche la questione della sua sostenibilità
Nel 2022 la guerra in Europa ha improvvisamente riacceso in tutti i Paesi industrializzati inflazione ed esigenza di sovranità. Per il cloud, nato nella precedente era della globalizzazione e dei soldi gratis – quando i costi unitari per qualsiasi risorsa tecnologica continuavano a scendere -, fu la fine di un’infanzia dorata. Da allora, siamo molto più attenti a dove sono i nostri dati e quali Paesi hanno il diritto di accedervi, e anche a controllare la crescita dei costi ricorrenti. Da allora, si va sul cloud per essere flessibili, digitali, efficienti – non più per risparmiare. Alla fine di quello stesso anno, con il lancio in sordina di ChatGPT, si affacciava prepotentemente alla finestra una nuova classe di applicazioni che negli ultimi due anni ha fatto crescere rapidamente la domanda di memoria, calcolo e comunicazione digitale, e ancor più le aspettative sulla sua crescita: l’intelligenza artificiale per tutti, nella vita di tutti i giorni.
La sostenibilità del cloud, dal PUE all’economia circolare
Dieci anni fa la strada della sostenibilità per il cloud sembrava chiara: proprio come per guadagnare efficienza e ridurre i consumi rispetto alle procedure tradizionali bastava digitalizzare, così bastava migrare sulle infrastrutture cloud, enormemente più efficienti anche dei migliori data center privati, per ridurre i consumi di energia, acqua e suolo e con loro inquinamento e generazione di gas serra. È stata l’era del ‘PUE’ – Power Usage Effectiveness” – l’efficienza con cui si gestiscono i data center per unità di potenza di calcolo, cioè il rapporto tra consumi energetici per far funzionare i computer e i consumi totali, comprensivi di raffreddamento e ogni altra attività. Per anni i grandi hyperscaler hanno ottimizzato il proprio PUE, riducendo costi e inquinamento insieme. Tra il 2018 e il 2020, molti di loro annunciarono obiettivi di sostenibilità estremamente ambiziosi, primo fra tutti la “neutralità carbonica netta” (“net zero carbon”) tra il 2030 e il 2040. Era un modo per rafforzare la propria immagine di operatori responsabili, ridurre le preoccupazioni delle comunità verso questi giganti dell’impresa e della comunicazione, e insieme migliorare la propria struttura di costi e la competitività della propria offerta: la strada della sostenibilità era più che spianata, era in discesa.
Col senno di poi questi interventi, per quanto benefici, hanno dimostrato due limiti importanti: quello della crescita in termini assoluti (tutti i parametri di efficienza come il PUE sono per definizione relativi) e quello della concentrazione su un segmento limitato dell’intera catena del valore. Per migliorare PUE e costi ha senso, per esempio, sostituire apparecchiature funzionanti con altre che consumano molta meno energia, anche quando l’energia necessaria per produrre quelle nuove è superiore a quella che si risparmia usandole. Si sfrutta così una esternalità economica positiva per il gestore dell’infrastruttura, per migliorare la sua sostenibilità a scapito di quella dei suoi fornitori e dell’ambiente complessivo.
I grandi hyperscaler fanno il primo passo: il viaggio sarà lungo
Per rispondere a queste due criticità, gli operatori del settore hanno cominciato a misurare e gestire la sostenibilità nell’“Ambito 3” (“Scope 3”), estesa cioè all’intera catena del valore, dalla produzione dei data center, delle apparecchiature e dell’energia che le alimenta al “riparare, riusare e riciclare” tutti i componenti. Questa gestione ben più organica e completa della sostenibilità è molto più complessa e costosa della ottimizzazione interna, perché i fattori da considerare sono molti di più, il controllo è minore, non si riescono a sfruttare le esternalità positive e soprattutto perché in mercati a domanda e prezzi crescenti, come quello dell’energia rinnovabile e quello delle GPU per la costruzione dei modelli linguistici per l’AI – per fare solo due esempi salienti -, molte delle scelte più sostenibili entrano in conflitto con gli obiettivi economici a breve anziché contribuirvi. Quest’anno i nodi sono venuti al pettine: almeno due dei principali hyperscaler occidentali, Microsoft e subito dopo Google, nella propria relazione sulla sostenibilità 2024 hanno esplicitato che la produzione di carbonio equivalente netta in “Ambito 3” è in crescita in termini assoluti tra il 2020 e il 2023, con previsioni al rialzo per i prossimi anni, spinta anche dalla domanda aggiuntiva per l’intelligenza artificiale. Esplicitamente o implicitamente, questa previsione potrebbe arrivare a mettere a rischio gli obiettivi al 2030, salvo eventuali contromisure.
Diversa la situazione di Amazon, che misura la propria sostenibilità a livello di gruppo complessivo, di cui il cloud AWS è una parte. La loro relazione di quest’anno presenta progressi significativi verso i propri obiettivi 2030 e 2040 anche nel 2023, forse anche proprio grazie al contributo delle componenti diverse dall’infrastruttura cloud. Per l’elettricità in particolare, l’hyperscaler ha annunciato di aver già raggiunto nel 2023 l’obiettivo fissato per il 2030 di “far coincidere [‘match’, in inglese] tutta l’elettricità consumata nelle attività globali di Amazon, compresi i nostri centri dati, […], con il 100% di energia rinnovabile entro il 2030”. Il nodo è sostanziale: da una parte il cloud, e il digitale in generale, cresce più in fretta di quanto le ottimizzazioni riescano a ridurre i consumi; dall’altra, oggi cloud e digitale sono una parte importante della nostra vita, quantitativamente oltre che qualitativamente, e quindi devono affrontare la sostenibilità nel modo in cui la affrontano i grandi settori dell’economia, come i trasporti e la manifattura.
Oggi questa evoluzione si osserva soprattutto nelle strategie di comunicazione che adottano, ben più articolate e sfumate di qualche anno fa, e nella ampiezza e organicità crescente delle iniziative adottate – dall’apertura di data center vicino alle centrali nucleari al sostegno allo sviluppo di tecnologie e mercati ora embrionali, come quelli per cementi e acciai a bassa impronta carbonica, nei quali il settore delle infrastrutture digitali sta assumendo un ruolo di guida della domanda che porterà benefici anche ad altri settori più grandi, a partire dall’edilizia specializzata e dall’elettronica.
Una partnership di lunga data: i grandi colocator
Se gli operatori del cloud cercano collaborazioni in altri mercati, maturi e nuovi, per affrontare insieme la questione della propria sostenibilità, come la affrontano i loro partner storici più stretti, i grandi colocator nazionali e internazionali, gli specialisti nella realizzazione e gestione di data center che servono sia grandi organizzazioni non specialistiche, sia gli stessi hyperscaler? Secondo VIRTUS Data Centres, il più grande operatore di data center del Regno Unito, particolarmente attento agli impatti sistemici che i suoi data center hanno sull’economia e l’ambiente, il tema della sostenibilità continuerà ad avere un ruolo prevalente nel settore, sia tra i colocator sia tra gli hyperscaler, e da oggi diventa ancor più complesso, sfidante e strategico. Anche i colocator si erano dati obiettivi importanti di riduzione del PUE e del suo equivalente per l’acqua, WUE, e per l’adozione di energia rinnovabile, e ne avevano raggiunti molti. Ora, come gli hyperscaler, devono prendere atto che questi parametri restano necessari, e si potrà e dovrà ancora migliorarli, ma per raggiungere la sostenibilità in “Ambito 3” occorre porsi altri obiettivi, su nuovi parametri anche assoluti, da raggiungere con altre iniziative, più complesse. Alcune di queste avranno costi molto maggiori e quindi difficili o impossibili da giustificare in termini strettamente economici. Molti sceglieranno di confermare gli obiettivi a medio e lungo termine. Già oggi per esempio Gaelle Mogabure, responsabile ESG per VIRTUS, conferma questa “scelta etica non negoziabile”, parte essenziale dell’identità e responsabilità sociale dell’azienda.
Si apre così una nuova stagione di ricerche, investimenti e soprattutto collaborazioni con specialisti dei settori adiacenti: dall’edilizia specializzata alla generazione di energia, alla sua conservazione in batterie, alla progettazione di apparecchiature elettroniche sempre meglio riparabili, riusabili e riciclabili. Alcuni di questi settori sono più vicini ai colocator, con i quali troveranno più facile collaborare, altri agli hyperscaler. Dalla nuova collaborazione tra questi partner storici possiamo aspettarci un impulso nuovo all’evoluzione della sostenibilità in un settore tecnologicamente all’avanguardia che entra ora tra i settori portanti dell’economia e della società mondiale, e comincia ad assumersi le responsabilità relative.