Rendere l’IT protagonista del business
Di fronte all’esigenza di un governo a 360 gradi dell’IT all’in- terno delle aziende, Insight si occupa di disegnare la road- map della loro trasformazione, coprendo aspetti di progettazione, implementazione e gestione, a supporto degli obiettivi economici, tecnologici e di processo.
La trasformazione digitale che le aziende oggi stanno portando avanti è causa di un cambiamento su tre livelli. Il primo riguarda le modifiche a livello infrastrutturale per abilitarla. Il secondo, causa e conseguenza del primo, prevede le modifiche di quei processi che prima venivano svolti in analogico o con approcci IT legacy. Il terzo è infine più propriamente legato alla cultura aziendale e alle competenze degli utenti interni così come dell’IT a supporto. Ecco che in tale scenario Insight, multinazionale americana presente anche in Italia, si preoccupa di supportare le aziende a 360 gradi per far sì che tali processi avvengano in modo corretto e portino i benefici attesi. “Operiamo in alcuni ambiti specifici, che sono le nostre aree di go-to-market, e abbiamo vissuto un’evoluzione negli ultimi anni che ci ha portato dalla vendita del software e dalla gestione di contratti di software asset, alla realizzazione e gestione di progetti, fino alla offerta di servizi di gestione dell’infrastruttura, i cosiddetti managed services”, spiega il Country Manager di Insight per l’Italia, Pietro Marrazzo, sottolineando come da alcuni anni ormai il ruolo del dipartimento IT sia cambiato in modo radicale e fortunatamente anche strategico. “Una volta, in quasi tutti i settori industriali, il dipartimento IT era praticamente una commodity, ossia un gruppo di persone, risorse e strumenti che prendono in carico un’infrastruttura, garantendo il corretto funzionamento dei sistemi informatici e agendo spesso in maniera reattiva alla comparsa di problemi o in seguito a richieste specifiche”.
L’idea è, di fatto, che oggi in tutte le aziende più rilevanti del mondo il dipartimento IT sia investito di un ruolo assai più importante e con una valenza strategica fondamentale, in quanto motore e driver di innovazione, per cui non è sbagliato dire che qualsiasi business è un business IT. Questo perché l’impatto sui risultati dell’azienda esercitato da tutto quanto ruota attorno all’informatica ha assolutamente un valore e una portata di livello strategico. Di conseguenza, Insight ha ritenuto che sia stato un passo fondamentale anche per la sua crescita e maturazione, decidere di seguire tale evoluzione del mercato e arrivare ad offrire servizi ad alto valore aggiunto a una serie di interlocutori e ruoli aziendali nuovi e non necessariamente provenienti dal dipartimento IT.
Le cause del cambiamento
L’evoluzione che ha portato il cambiamento descritto poc’anzi ha diverse cause che Marrazzo individua in primo luogo nello sviluppo tecnologico e nella disponibilità di strumenti nuovi che hanno un impatto che va ben oltre l’infrastruttura IT. “Parliamo ad esempio della disponibilità di risorse cloud di livello enterprise che ha drasticamente ridotto il time to market dei progetti e ha cambiato radicalmente la struttura dei costi e dei ritorni associata ai progetti stessi, e spesso anche ai dipartimenti IT; pensiamo solo alla transizione tra cosi fissi relativi ad asset hardware, e costi operativi relativi a servizi cloud. Oppure possiamo fare riferimento alla possibilità di collegare strumenti di reportistica dinamica, come dashboard e cruscotti, a basi dati enormi (datawarehouse e datalake) per offrire informazioni di business in tempo quasi reale. Solo pochi anni fa la generazione di report di vendita aggregati e strutturati impegnava interi reparti che lavoravano per rendere i dati disponibili magari con uno o due mesi di ritardo, il che era perfettamente accettabile”, sottolinea Marrazzo, puntualizzando che con la tecnologia oggi disponibile impiegare mesi per calcolare i propri indicatori chiave di prestazioni (Kpi) di business potrebbe significare l’accumulo di ritardi e inefficienze nei confronti di concorrenti sempre più numerosi. Ritardi e inefficienze eliminati affidandosi invece a sistemi automatizzati.
Un cambiamento che la pandemia di COVID-19 ha accelerato notevolmente in quanto le aziende hanno dovuto obbligatoriamente riadattarsi per via di un’emergenza che non consentiva più di mantenere lo status quo operativo, richiedendo di avviare immediatamente la trasformazione dei propri processi in senso digitale.
“Le realtà che si sono trovate costrette a cambiare le loro abitudini e il loro modo di lavorare dalla sera alla mattina, hanno spesso dovuto adottare innovazioni tecnologiche, cito il cloud come esempio per tutti, e hanno compiuto nel giro di poche settimane, al massimo di qualche mese, salti tecnologici che magari erano in discussione o in progetto da anni. La conseguenza di questa situazione è che le aziende che non hanno compiuto questi passi in avanti, e che già erano in ritardo rispetto a concorrenti più innovatori, oggi rischiano di essere rapidamente tagliate fuori dal mercato a causa di questo gap di competitività”, aggiunge Marrazzo. In tale contesto generale, l’innovazione deve prevedere degli interlocutori ben precisi all’interno delle organizzazioni utenti. Di nuovo l’IT si dimostra un’interfaccia fondamentale, ma non l’unica di cui tenere conto.
“Il Cio è senz’altro uno dei nostri principali interlocutori, ma non può essere l’unico, proprio in considerazione dell’impatto che ha l’IT sul business in azienda. Oggi realtà come la nostra così come tutti gli altri partner IT, devono stare vicini all’intero board dove in molti casi il responsabile dei sistemi informativi non è presente. Una ricerca condotta da noi alla fine del 2020 attraverso circa 1.000 interviste a Cio europei ha evidenziato un’anomalia: il Cio viene riconosciuto come motore di innovazione, e in effetti gli viene richiesto di guidare il processo di introduzione dei nuovi processi tecnologici, ma solo nel 22% dei casi gli viene assegnato un posto nel consiglio d’amministrazione. E quando non è presente nel board, spesso il Cio viene rappresentato da dipartimenti come Finance, Amministrazione, Operations. Ma questi reparti hanno degli obiettivi che spesso sono in evidente conflitto con l’introduzione di innovazione tecnologica, anche perché sappiamo che oltre il 90% delle aziende sono sotto pressione dal 2020 per contenere i costi. Quindi dobbiamo essere vicini sì al Cio, ma in realtà a tutto il board, perché i progetti di innovazione oggi falliscono per ragioni che non sono tecnologiche”, spiega Marrazzo citando come primo aspetto di fallimento dei progetti IT quello legato ai costi, i quali spesso non sono ottimizzati bensì duplicati tra i vari reparti o con acquisto di licenze in eccesso o non necessarie. In secondo luogo viene evidenziato l’aspetto di adozione che impatta spesso sul ritorno in investimenti IT laddove, se i progetti sono terminati e le tecnologie sono funzionanti, il loro utilizzo avviene a rilento non avendo tracciato un corretto percorso di adozione che tenga in considerazione il necessario cambiamento di abitudini delle risorse che lavorano.
“Se le persone non sono formate opportunamente o non dispongono degli strumenti necessari, saranno inclini a continuare a lavorare come in passato, anche con un certo rifiuto verso gli strumenti più innovativi. Questo poi ha anche impatti sui livelli di soddisfazione in azienda, e si collega direttamente a tematiche care alla direzione del personale, come l’attrazione di talenti dall’esterno, o il mantenimento di quelli già presenti nel proprio organico. È una tematica per noi fondamentale, a partire dal nostro interno dove abbiamo intrapreso un percorso di consapevolezza che ci ha portati di recente ad essere riconosciuti come uno dei Best Workplaces a livello europeo da un istituto indipendente come Great Place To Work, un riconoscimento che nasce dal basso per un’azienda che unisce più generazioni di personale e che si adatta di conseguenza per rispondere alle nuove esigenze, comprese quelle coinvolte in ciò che definiamo ‘hybrid working’. Oggi questa consapevolezza ci aiuta a supportare i nostri clienti su queste stesse tematiche.”
Guardare al post pandemia
Dunque la pandemia di COVID-19 ha accelerato notevolmente l’adozione di tecnologie di nuova generazione e tra queste il cloud computing ha giocato un ruolo fondamentale come supporto a nuovi strumenti come quelli che abilitano il lavoro in remoto. Un paradigma infrastrutturale che secondo Marrazzo è destinato a restare: “Le persone hanno imparato a lavorare in un modo diverso che è meno dipendente dal luogo fisico. Si parla appunto di hybrid working, e anche di connected workforce, ovvero di team che sono connessi e produttivi anche se non sono fisicamente nello stesso luogo. Questi modelli tecnologici e organizzativi sono molto probabilmente destinati a rimanere, perché quello misto lavoro in presenza/lavoro da remoto unisce i reciproci vantaggi e abbatte i vincoli della prossimità fisica. Infine, giorno dopo giorno vediamo come la security sia un concetto ormai imprescindibile, da estendere anche agli ambienti a distanza, e certamente sarà sempre più un elemento chiave attorno al quale costruire i progetti di innovazione.”
Tra i progetti recenti su cui Insight ha lavorato c’è quello per un gruppo multinazionale manifatturiero con sede in Italia. “Si tratta di una realtà che all’inizio del 2020 ha visto, causa COVID-19, stravolgere rapidamente le attività di progettazione della sua filiale cinese, con le necessità logistiche dell’ufficio che non riuscivano a trovare risposta nell’hardware e nelle infrastrutture on-premise esistenti. E con la progettazione che rischiava seri rallentamenti, senza contare le altre conseguenze imprevedibili. Una situazione poi verificatasi in altre sedi e aree geografiche. Abbiamo quindi svolto un’attività di assessment che ha successivamente portato al disegno e all’implementazione di una infrastruttura che ha previsto l’attivazione di workstation virtuali con risorse simili o superiori rispetto a quelle fisiche esistenti negli uffici. Il tutto disponibile da remoto attraverso i dispositivi forniti agli utenti”, racconta Marrazzo.
Questa è solo una tipologia di progetto di innovazione che Insight abilita mettendo sul piatto competenze in tema di gestione del software, di cloud computing, hybrid working, digital innovation con attività che ad esempio contemplano anche la mixed reality: “In definitiva giochiamo un ruolo di driver di innovazione tecnologica accanto alle aziende, svolgendolo prestando attenzione non solo all’aspetto strettamente tecnologico, ma anche a quello di ottimizzazione degli investimenti, e, forse la cosa più importante, allo sviluppo delle competenze necessarie delle persone, non solo tecnologiche ma anche metodologiche. Perché sono sempre le persone a determinare il successo delle aziende”, conclude Marrazzo.