Quando far partire un’iniziativa podcast?

Il mondo del marketing appare ormai saturo e l’attenzione degli utenti va richiamata con nuovi strumenti digitali come per esempio la ‘voce’.

Amici del canale, come comunicate con i vostri (potenziali) clienti? Quali media usate? Cosa ne sapete di podcast? Usate Internet e i social? Oppure ancora il piccione viaggiatore? Ok, forse il piccione viaggiatore non lo usate più, però è assai probabile che non stiate abbracciando tutti i nuovi strumenti di comunicazione.
In realtà questo è un problema diffuso addirittura anche nel mondo dei media. In ogni epoca, le aziende tradizionali irridono, respingono o ignorano le novità e lo fanno nel momento stesso in cui, di fatto, vengono da loro soppiantate. Mi ricordo una discussione in Olivetti nel 1984 (all’epoca, ero un neoassunto) in cui un manager mi spiegava che “OK, il personal computer e la videoscrittura, ma non possiamo permetterci di compromettere il business delle macchine per scrivere”: una posizione difensiva e antistorica e si sa poi che fine ha fatto il business delle macchine per scrivere (e di Olivetti, in generale).
Intenti a difendere posizioni di retroguardia, le aziende magari spendono anche un po’ di tempo e denaro nel testare nuovi strumenti, prodotti e modalità di approccio al mercato, ma raramente riescono poi a fare il “salto quantico”. Infatti, queste aziende difficilmente vogliono o possono abbracciare il nuovo, specie se questo va a detrimento del vecchio (o comunque di un pacifico e fruttifero status quo, la “cash cow” del momento). Molti sono gli esempi che vengono in mente: gli spettacoli radiofonici raramente sono diventati programmi TV di successo, le reti televisive tradizionali non hanno sfruttato il trend della Pay TV come avrebbero potuto e dovuto, l’industria del libro (cartaceo) spesso ha ignorato l’innovazione tecnologica. Ho visto un video del 1994 dove un famoso anchor man americano ironizzava su Internet (“What is the Internet, anyway”: cercatelo su YouTube dove, ironicamente, è finito a imperitura memoria). E nel 1999, Conde Nast acquisì la divisione “stampa” di Wired ma intenzionalmente non quella “web”. Venti anni fa, i giornali erano in una posizione perfetta per creare grandi blog: avevano l’attenzione del lettore e la fiducia dell’inserzionista, ma hanno perso tempo. I nuovi media (e le nuove tendenze, in generale) sono generalmente adottati per primi da amatori e sperimentatori e, più raramente, dai professionisti e dalle aziende, il pubblico a cui la pubblicità primariamente si rivolge. E raramente, con questi nuovi strumenti, si fanno grossi numeri all’inizio, proprio perché si tratta di novità.
Però, man mano che i nuovi strumenti guadagnano terreno, i vecchi media, invece di fare proprio il trend in arrivo, spesso raddoppiano gli sforzi nel difendere quello che credono essere il loro valore fondativo e cercano di lottare contro il fatto d non essere più i monopolisti dell’attenzione. I redattori dell’Enciclopedia Britannica o della Treccani erano orgogliosi del controllo che avevano su ogni pagina e ignorarono Wikipedia, i produttori e i registi dei film adorarono la brillantezza dei loro film e non entrarono nel business dei videogiochi. E gli editori dei giornali locali amano la loro egemonia provinciale, quindi combattono contro i contenuti distribuiti sul web.


Il fenomeno podcast

Ho letto un recentissimo articolo del New York Times intitolato “Have We Hit Peak Podcast?”. In questo articolo si ricorda che, nel 2016, Morgan Mandriota e Lester Lee, due scrittori freelance che cercavano di far crescere il loro personal brand, avevano deciso di lanciare un podcast. L’hanno chiamato ‘The Advice Podcast’ e, in questa iniziativa, ci hanno messo tanto impegno quanto ne hanno messo per trovarne il nome (ovvero vicino a zero; dopotutto, nessuno li pagava per questo). Ogni settimana, i due, nessuno dei quali aveva una vera esperienza professionale nel fornire consigli, si incontravano in una stanza della biblioteca locale e registravano conversazioni chiacchierando su un iPhone. “Abbiamo pensato che saremmo diventati grandi, che avremmo avuto offerte di marketing di affiliazione e pubblicità”, ha detto Mandriota. Ma dopo sei episodi, quando nessuno sponsor aveva ancora bussato alla porta, l’entusiasmo calò. Sapete già cosa succede in questi casi: “… La musica è finita, gli amici se ne vanno, che inutile serata …” (cit.). Oggi Mandriota riconosce che lo spirito ‘fai da te’ che, all’inizio, ha reso affascinante l’iniziativa è esattamente ciò che ha condannato il progetto: “Puoi parlare quanto vuoi, ma se non riesci a dare vero valore agli ascoltatori e farlo in modo coinvolgente, le tue probabilità di diventare virale sono davvero basse”.
Oggi ci sono al mondo oltre 700.000 podcast, e ne vengono lanciati 2.000-3.000 ogni mese. C’è anche un divertente compendio, pubblicato da Podcast Junkies, intitolato ““The Incredibly Exhaustive List of Podcasts about Podcasting”. Il Times ha quindi sentenziato che i podcast sono un fenomeno in fase calante, magari non considerando appieno la realtà economica e culturale dei prossimi anni, ma contando sull’ovvio fatto che esiste un abisso tra la qualità dei podcast amatoriali e quella del lavoro realizzato da professionisti dell’informazione.
Tutto vero, però il problema è che tutti tendono a parlare dell’oggi e la narrazione a volte impedisce alle persone di vedere ciò che sarà possibile a breve finché questo non diventa ben avviato. All’inizio sono nati migliaia di giornali e oggi ce ne sono pochi redditizi, così come ci sono milioni di creatori di contenuti su di YouTube, ma solo una frazione di questi ha avuto successo e si guadagna da vivere in tal modo. E lo stesso vale e varrà per i podcast.
Il fatto che avere successo sia difficile non significa che non dovreste far partire un vostro podcast. Dovreste. Perché un podcast è una modalità generosa per condividere le vostre idee. Perché vi dà modo di chiarire il vostro pensiero. Perché potete riunire un gruppo di persone che vogliono andare dove voi state andando. In pratica, potete creare una ‘community’.


La voce è il futuro dell’interazione

Nei decenni le tecnologie di riconoscimento vocale si sono affinate e sviluppate e oggi idispositivi ‘voice assistant’ sono l’area su cui stanno fortemente investendo colossi della tecnologia, quali Apple, Amazon e Google. Le versioni mobile di assistenza vocale (Siri per iPhone, introdotta nel 2011, e la più recente Cortana per Windows) hanno portato il pubblico verso nuove modalità di interazione, che hanno penetrato il mercato in pochi anni, dato significativo se paragonato ai tempi di adozione di massa di web e smartphone: 20 anni per il primo e 7 per i secondi. Importante è anche la crescita prevista per il settore: si stima che alla fine del 2020 il 50% delle ricerche sarà effettuata con strumenti vocali ed entro il 2022 questo mercato varrà 40 miliardi di dollari.
Il successo delle tecnologie vocali va innanzitutto ricercato nella loro modalità di funzionamento, meno invadente rispetto ad altri metodi di comunicazione: il sistema interagisce solo quando interpellato dall’utente ed è in grado di rispondere a richieste ad hoc (io ho Alexa Echo a casa e in ufficio e lo uso ogni giorno). Alcuni studi hanno individuato come le richieste vocali richiedano un’attività cerebrale meno intensa rispetto a quella richiesta per digitare un testo di ricerca. L’uso di questi dispositivi richiede quindi meno competenze ed è meno stressante rispetto ai metodi di ricerca tradizionali.
Ultimo aspetto, non per importanza, gli strumenti voice danno la possibilità di essere più efficienti e produttivi: in media una persona è in grado di digitare 40 parole al minuto, ma di pronunciarne ben 150! Redigere un testo su dettatura vocale, per esempio, non solo è più veloce, ma permette di ottimizzare i tempi, in quanto la stesura può essere fatta mentre si guida o mentre si cammina verso un appuntamento.
Inoltre, il mondo del marketing appare ormai saturo e l’attenzione degli utenti va richiamata con nuovi strumenti digitali e molti brand quindi si stanno già muovendo per individuare nuove strategie marketing che prevedano l’uso di voice speaker.
In conclusione, proprio perché credo nei podcast e nella voce, vorrei parlarvi di un nuovo progetto che ho sviluppato con alcuni soci: si chiama RADIO IT (www.radioit.it), un canale radio podcast pensato per dare voce al mondo IT e per permettere di creare podcast radio aziendali. Proprio perché ci credo, ho lanciato un nuovo canale (a breve con interazione vocale via Alexa) mentre ce ne sono altri in giro (non nell’IT In Italia). E l’idea è di farlo in modo professionale e non demordendo se ‘dopo sei episodi’ non saremo ancora in profitto.
E tu hai un’idea di come usare la voce per il tuo business? Di come ‘parlare’ ai clienti? Ne vogliamo parlare?


Primo Bonacina

Bergamasco di nascita e milanese per professione, Primo Bonacina si occupa d’informatica dal 1980, primo in ordine di laurea tra gli studenti (1984) della neocostituita Facoltà di Informatica di Milano. Dal 1984 ha operato con ruoli di responsabilità crescente per aziende multinazionali dell'IT. Le più note: Olivetti, 3Com (ora HPE), Magirus/Tech Dat...

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