Lavoro remoto e strumenti digitali di comunicazione

La comunicazione aziendale, cuore dello smart working, è stata praticata con successo dalle persone già abituate all’utilizzo massivo delle tecnologie digitali. Per tutte le altre servono attività di formazione mirate per evitare il ‘technostress’.

Le misure di distanziamento sociale adottate da migliaia di organizzazioni in tutto il mondo per contenere la diffusione del coronavirus Covid-19 e continuare a offrire i propri servizi di base (OECD, 2020), ha richiesto alle organizzazioni e ai lavoratori di svolgere il lavoro in un contesto e con modalità differenti. Il lavoro a distanza o, in Italia, il ‘lavoro agile’ è perciò grandemente aumentato in tutta Europa (Eurofound, 2021; Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano, 2020). Molte organizzazioni sono state costrette a utilizzare le nuove tecnologie digitali e le applicazioni dei social media per consentire ai propri dipendenti, che operavano da casa, di mantenere un contatto con l’ufficio e con i database aziendali nonché di comunicare e collaborare con colleghi e dirigenti. La crisi sanitaria è perciò diventata un enorme esperimento naturale che ha costretto a sperimentare ed esplorare nuovi modi di lavorare e di comunicare.

Un adattamento non sempre facile

Numerosi studi sono stati condotti sull’esperienza del lavoro remoto durante il confinamento sociale imposto dal Covid-19. L’indagine europea condotta da Eurofound (2021) ha stimato che a luglio del 2020 quasi la metà dei lavoratori dell’Unione Europea aveva lavorato da casa per un qualche periodo durante la pandemia, mentre un terzo dei lavoratori europei aveva lavorato esclusivamente da casa. Questa situazione ha creato due tipi di lavoratori: quelli che non potevano lavorare da casa e hanno continuato a lavorare in presenza, come gli operatori sanitari, chi si occupa di consegne, gli addetti alla manutenzione o gli operai delle aziende manifatturiere, e chi invece ha potuto transitare verso il lavoro al proprio domicilio, come per esempio gli insegnanti, chi si occupa di tecnologia informatica, gli impiegati pubblici e quelli delle aziende provate o chi si occupa di amministrazione (Allen et al., 2021). Chi ha potuto lavorare da casa è stato meno esposto al rischio del contagio, ma ha dovuto adattarsi al ‘nuovo’ ambiente di lavoro e ha sperimentato livelli più alti di isolamento sociale rispetto al contesto lavorativo precedente e ai colleghi (Allen et al., 2021, Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano, 2020).

L’indagine condotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano (2020) su circa 8.600 lavoratori di organizzazioni pubbliche e private, ha rilevato che il senso di isolamento dall’organizzazione è stato percepito soprattutto dal 30% dei lavoratori agili e ha riguardato l’organizzazione più che le singole persone con cui si lavorava, verso le quali si è assistito a un aumento delle comunicazioni e delle interazioni. Questo, da una parte, ha consentito di mantenere alto il senso di appartenenza al gruppo di lavoro; d’altra parte, nelle organizzazioni che non avevano esperienza di lavoro agile, il flusso di comunicazioni è spesso stato molto elevato generando una percezione di stress e di fatica mentale, nonché la percezione che tali comunicazioni fossero dovute al desiderio di controllo e a sfiducia da parte del responsabile (Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano, 2020). Tra le criticità di natura più tecnica, vi sono state la dotazione tecnologica, ritenuta non sufficiente dal 22% dei rispondenti e il luogo di lavoro, cioè la casa, ritenuto poco adatto allo svolgimento delle attività lavorative dal 19% dei rispondenti. Confrontando le criticità sperimentate dai lavoratori che avevano avuto esperienza di smart working con quelle di chi faceva il lavoro agile per la prima volta, a seguito del Covid-19, si è osservato che i primi avvertivano meno difficoltà legate alla strumentazione tecnologica poco adeguata e avevano meno la percezione di essere sempre connessi. Questo, come segnalato in altri studi e rassegne, evidenzia che lavorare in modo efficace nella modalità smart working richiede non solo strumentazioni tecnologiche e un posto adeguati, ma anche un processo e un tempo di apprendimento che consenta di sviluppare competenze utili a gestire in modo idoneo il lavoro remoto (Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano, 2020; Toscano & Zappalà, 2020a).

Gli aspetti più critici

I modelli manageriali di gestione del lavoro remoto nonché le dotazioni tecnologiche risultano i principali ostacoli che in un gruppo di 800 dirigenti aveva segnalato come ostacoli da superare in una indagine condotta da Fondirigenti durante la prima ondata del Covid-19. In questa indagine si segnalavano anche i principali temi da trattare nella formazione dirigenziale sul lavoro agile. I tre temi più indicati erano la gestione delle risorse umane, la digitalizzazione dei processi aziendali e la sicurezza informatica (Fondirigenti, 2020). Nell’indagine svolta a Novembre 2020 da Fondirigenti, durante la seconda ondata del Covid-19, a cui hanno risposto 1.500 tra dirigenti e manager, si segnala ancora una volta che gli aspetti critici nella gestione dello smart working riguardavano la mancanza di rapporti sociali e la difficoltà a trovare soluzioni creative per le mancate interazioni con il proprio gruppo di lavoro. I dirigenti segnalavano anche alcune criticità tecnico-logistiche, come problemi di connessione, spazi limitati nonché l’assenza di dotazioni ergonomiche nelle abitazioni dei lavoratori (Fondirigenti, 2021). L’indagine conclude che, per proseguire nello smart working, saranno necessari investimenti per migliorare le dotazioni dei dipendenti nonché nuove modalità di organizzazione del tempo di lavoro (Fondirigenti 2021).

L’utilizzo dei sistemi di comunicazione

Nel corso dell’ultimo anno, con il gruppo di ricerca “Sfide emergenti nel mondo del lavoro – SFELAV” (https://psicologia.unibo.it/it/ricerca/gruppi-di-ricerca/sfide-emergenti-mondo-lavoro-sfelav-1), all’interno del Dipartimento di Psicologia Renzo Canestrari dell’Università di Bologna abbiamo svolto alcuni studi su come i lavoratori agili si sono adattati a questa modalità di lavoro flessibile. Si sono indagati gli effetti che lo stress e l’isolamento sociale (Toscano & Zappala, 2020b), l’ambiente di lavoro domestico (Galanti et al., 2021), e l’autonomia lavorativa e la self-leadership (Zappalà et al., 2020), hanno sulla soddisfazione e sulla produttività dei lavoratori agili. In questo breve articolo illustreremo i risultati di alcune rilevazioni svolte in organizzazioni private e in una organizzazione pubblica relativi alle tecnologie utilizzate durante il lavoro remoto, alla percentuale di lavoro d’ufficio che è stata svolta in casa e accenneremo a uno studio in cui si confrontano le percezioni dei lavoratori quando lavorano in ufficio e a casa.

Una prima indagine è stata svolta presso una multi-utility di servizi, con sede in Emilia Romagna, nel mese di Aprile 2020, nelle fasi iniziali del lockdown. In particolare, si sono analizzate due piccole società del gruppo che si occupano di distribuzione del gas, e che dispongono, rispettivamente, di 22 e 25 dipendenti che svolgono principalmente un lavoro di tipo amministrativo – contabile. Le aziende non avevano precedenti esperienze di smart working. La Figura 1 qui sotto mostra la frequenza con cui i lavoratori agili hanno utilizzato alcuni strumenti per comunicare al responsabile lo stato di avanzamento del proprio lavoro. I lavoratori erano abbastanza autonomi nel loro lavoro e l’azienda 1 si distingueva per la presenza di un numero più elevato di giovani, con titolo di studio più elevato. La Figura 1 mostra che le comunicazioni con il responsabile non erano state molto frequenti e che gli strumenti più utilizzati erano l’email e il telefono (utilizzati quasi 2-3 volte a settimana). La videochiamata era utilizzata una volta a settimana nell’azienda 1, e con una frequenza ancora più bassa nell’azienda 2.

FIGURA 1

FREQUENZA CON CUI SI SONO UTILIZZATI ALCUNI STRUMENTI PER COMUNICARE CON IL DIRIGENTE
(Strumento utilizzato: 1 = mai, 2 = una volta a settimana, 3 = 2-3 volte a settimana, 4 = ogni giorno, 5 = più volte al giorno)

Fonte: Università di Bologna

A questa domanda hanno risposto anche i 272 dipendenti di un’amministrazione comunale dell’Emilia-Romagna. L’ente aveva già esperienza di lavoro agile, che aveva introdotto quasi un anno prima, anche se su un gruppo ristretto di dipendenti. I dati relativi alla frequenza di utilizzo degli strumenti digitali fanno riferimento al periodo del lavoro agile emergenziale tra marzo e maggio 2020. In questo caso va considerato che i 272 rispondenti appartengono a diversi gruppi professionali e operano in settori molto diversi tra loro (dalla biblioteca comunale al settore dei lavori pubblici, dalle entrate tributarie alla polizia municipale).

La Figura 2 mostra che il 52% dei rispondenti usa l’email per comunicare a distanza con il responsabile più volte al giorno o almeno una volta al giorno. Solo un 10% dei rispondenti non la usava mai. Anche i messaggi (WhatsApp o SMS) sono stati utilizzati più volte al giorno dalla maggior parte dei rispondenti (30%), ma è interessante notare che il 21% ha dichiarato di non utilizzare mai questo mezzo di comunicazione, che richiede comunque l’utilizzo di uno strumento personale come il telefono.

FIGURA 2

FREQUENZA DI UTILIZZO DEGLI STRUMENTI DIGITALI PER COMUNICARE CON IL DIRIGENTE

Fonte: Università di Bologna

Allo stesso modo, le telefonate erano utilizzate più volte al giorno dal 19% dei rispondenti, e almeno una volta al giorno dal 16%. Infine, un dato importante riguarda le videochiamate, che rappresentano lo strumento meno utilizzato di tutti. Il 32% non lo ha mai utilizzato e il 33% lo utilizzava una volta a settimana. Solo il 10% lo usava almeno una o più volte al giorno.

Questo risultato suggerisce l’importanza della formazione sugli strumenti di comunicazione digitale a distanza. La Figura 3 mostra che a eccezione di un 20% (che non usa o a cui non si applica), il restante 80% dei rispondenti ha utilizzato, almeno una volta a settimana, il modulo per il monitoraggio delle attività che era stato predisposto dal Servizio Programmazione e Controllo durante il lavoro agile emergenziale per monitorare il lavoro svolto dai dipendenti comunali. In entrambi gli studi abbiamo chiesto ai lavoratori quanta parte delle attività svolte in ufficio riuscivano ad essere riprodotte o svolte a casa. Nelle due aziende private solo una persona su 22 in un caso, e due su 25 nell’altro, riuscivano a svolgere a casa solo fino al 50% del lavoro svolto tipicamente in ufficio, mentre tutti gli altri svolgevano più della metà del lavoro normalmente svolto in ufficio, e almeno il 60% dei lavoratori riusciva a svolgere più del 75% del lavoro svolto in ufficio.

FIGURA 3

FREQUENZE DI UTILIZZO DEGLI STRUMENTI DI MODULISTICA IN UNA AMMINISTRAZIONE COMUNALE

Fonte: Università di Bologna

Si tratta di percentuali molto alte che segnalano come il lavoro remoto sembrerebbe, almeno per questi lavoratori, poter coprire buona parte del lavoro svolto in ufficio. Presso l’amministrazione comunale la situazione è più differenziata.

Innanzitutto, a giugno del 2020, 75 dei 272 rispondenti erano rientrati stabilmente in ufficio mentre gli altri alternavano lavoro in ufficio al lavoro in casa. In questo secondo gruppo di persone la situazione è più differenziata perché un 13% di lavoratori svolgeva meno del 25% del lavoro svolto in ufficio, il 27,4% svolgeva tra il 25 e il 50%, e tra il 50 e 75%, mentre un 13% riesce a svolgere a casa più del 75% del lavoro tipicamente svolto in ufficio (vedasi Figura 4).

FIGURA 4

PERCENTUALE DI LAVORATORI CHE È RIUSCITA A SVOLGERE A CASA QUOTE DIVERSE DEL LAVORO SVOLTO IN UFFICIO

Fonte: Università di Bologna

Produttività e concentrazione sul lavoro

È utile infine segnalare che studi recenti stanno cominciando a esaminare in modo più analitico alcuni supposti vantaggi del lavoro agile, come per esempio l’accresciuta produttività o la maggiore concentrazione.

Si tratta di confrontare gli aspetti psicologico-sociali e la prestazione dei lavoratori sia quando lavorano in casa sia quando lavorano in ufficio. Un simile studio è in fase di svolgimento presso un’amministrazione comunale. Per prepararci, abbiamo condotto uno studio pilota in questa direzione con 32 esperti in discipline giuridiche che lavorano presso amministrazioni pubbliche e studi legali. Ognuno di questi lavoratori ha risposto a un brevissimo questionario per 5 giorni di fila. I risultati mostrano lievi variazioni giornaliere nello stato d’animo (Figura 5) e anche variazioni a seconda che questi esperti lavorino solo in ufficio, esclusivamente a casa o invece alternino il lavoro a casa e quello in ufficio (Figura 6). La Figura 6 mostra che nonostante piccole variazioni tra questi tre gruppi, differenze significative si ritrovano nel job crafting (la capacità di modellare il proprio lavoro adattandolo a nuove esigenze o esigenze personali) nella concentrazione e nella autovalutazione della propria prestazione. Nello specifico, chi lavora solo in casa riesce ad adattare maggiormente il proprio lavoro alle proprie esigenze, è maggiormente concentrato rispetto a chi lavora in ufficio e valuta più positivamente la propria prestazione rispetto a chi alterna il lavoro a casa e in ufficio.

FIGURA 5

VARIAZIONI GIORNALIERE NEGLI STATI AFFETTIVI DI UN GRUPPO DI LAVORATORI

Fonte: Università di Bologna

Conclusioni

Il lavoro agile, considerato abbastanza tiepidamente dalle organizzazioni prima della pandemia, può essere considerato un lascito dell’emergenza sanitaria. Numerosi osservatori internazionali sostengono infatti che il lavoro agile rimarrà tra noi in modo consistente e ne evidenziano luci ed ombre (Eurofound, 2020; Lund et al., 2020).

Si afferma infatti che almeno il 20% della forza lavoro potrebbe lavorare da remoto da tre a cinque giorni a settimana, e che più della metà della forza lavoro ha poche o nessuna possibilità di lavorare a distanza (Lund et al., 2020). Da una parte, è infatti evidente che il potenziale per il lavoro remoto è altamente concentrato tra lavoratori con elevate professionalità e alti livelli di istruzione in pochi settori produttivi e professionali (Lund et al., 2021). La finanza, le assicurazioni, la direzione aziendale, i servizi economici e la tecnologia informatica prevedono lavori che possono essere fatti a distanza senza perdita di produttività; al contrario, attività fisiche o manuali, lavori che richiedono attrezzature fisse che non possono essere spostate, come i servizi di assistenza sanitaria, addetti alle macchine, al commercio o ai trasporti, non possono essere svolte a distanza. Il lavoro remoto sarà anche più diffuso nei paesi economicamente più sviluppati (Lund et al., 2020). Si teme che tutto questo contribuirà a riprodurre, se non a esacerbare, le ineguaglianze presenti all’interno del mercato del lavoro, generando da una parte lavoratori altamente qualificati e dall’altra personale meno qualificato e a basso costo (Eurofound, 2020).

FIGURA 6

VARIAZIONI NELL’ESPERIENZA LAVORATIVA TRA CHI LAVORA IN MODO AGILE, CHI LAVORA IN UFFICIO E CHI ALTERNA I DUE MODI DI LAVORARE

Fonte: Università di Bologna

La transizione è tuttavia ineliminabile. In questo anno le imprese e i lavoratori hanno sperimentato massicciamente il lavoro remoto; le imprese hanno acquisito fiducia nella capacità tecnologica di garantire un’adeguata connessione ai database aziendali e a comunicazioni e gruppi di lavoro virtuali, e i lavoratori hanno acquisito fiducia nella loro capacità di offrire comunque un lavoro di elevata qualità e molti hanno atteggiamenti positivi verso il lavoro remoto.

Restano ovviamente numerose criticità da risolvere. Un importante elemento critico da affrontare, oltre al rafforzamento della infrastruttura per garantire una buona connettività, riguarda gli apprendimenti e i cambiamenti connessi all’utilizzo delle tecnologie (per il lavoro a distanza) o quello che viene detto ‘technostress’.

Questo tipo di stress è connesso a vari aspetti dell’uso delle tecnologie: la complessità tecnologica è la capacità di apprendere e gestire sistemi informatici complessi utilizzati al lavoro (per esempio Zoom, messaggistica istantanea o e-mail); l’incertezza tecnologica riguarda i cambiamenti incessanti dell’hardware del computer e degli aggiornamenti software che costringono le persone ad adattarsi a sistemi in continuo cambiamento.

Il sovraccarico tecnologico descrive le situazioni in cui l’uso della tecnologia aumenta il carico di lavoro e costringe le persone a lavorare più velocemente o in modo diverso a causa della nuova tecnologia (Tarafdar et al., 2007). Questi aspetti, connessi al technostress, sono evidenti nel limitato uso delle tecnologie osservato nelle indagini da noi condotte. Ulteriori aspetti da affrontare riguardano: 1) una formazione adeguata sugli strumenti tecnologici che consentono un livello di comunicazione simile a quello che si ha quotidianamente in ufficio; 2) ridisegnare e digitalizzare i processi di lavoro in modo da consentire il lavoro remoto; 3) rivedere le job description rendendo esplicito se si tratta di lavori da svolgere esclusivamente in presenza oppure anche in remoto; 4) includere modelli di gestione delle risorse umane che offrano ai lavoratori la possibilità di lavorare in modo autonomo e prevedano modalità di controllo e monitoraggio del lavoro che non siano eccessivamente invasivi.

Ulteriori ricerche sono necessarie per valutare se e quanto effettivamente il lavoro remoto consenta di aumentare la produttività e come venga gestita l’alternanza tra lavoro in presenza e lavoro a distanza. La disponibilità delle aziende e dei lavoratori a partecipare alle ricerche è, in questa direzione, fondamentale. Aziende e pubbliche amministrazioni interessate a svolgere ricerche di questo tipo nelle loro realtà possono mettersi in contatto direttamente con l’autore: .

*Salvatore Zappalà è Professore associato dell’Università di Bologna, dove insegna Cambiamento e sviluppo organizzativo. Collabora con aziende ed enti pubblici sui temi dello smart working, qualità della vita lavorativa, collaborazione interorganizzativa e innovazione introdotta dal basso. È stato board member dell’Associazione Europea di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazione (2009-15).

Per contatti: salvatore.zappala@unibo.it

Bibliografia

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Tarafdar, M., Tu, Q., Ragu-Nathan, B. S., & Ragu-Nathan, T. S. (2007). The impact of technostress on role stress and productivity. Journal of management information systems, 24(1), 301-328.

Fondirigenti (2020) Quick survey Smart working. Il boom che annuncia il futuro. Roma. http://fondirigenti.it

Fondirigenti (2021) Quick survey Smart working 2.0. Una nuova normalità. Roma. http://fondirigenti.it

Galanti, T., Guidetti, G., Mazzei, E., Zappalà, S., & Toscano, F. (2021). Work from home during the COVID-19 outbreak: The impact on employees’ remote work productivity, engagement and stress. Journal of Occupational and Environmental Medicine. 63(7), e426-e432. https://doi.org/10.1097/jom.0000000000002236

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Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano (2020). Lo smart working durante l’emergenza COVID-19 e il punto di vista dei lavoratori. Disponibile da: https://www.osservatori.net/it/prodotti/formato/report/lo-smart-working-durante-lemergenza-covid-19

Toscano F., Zappalà S. (2020a) Smart working in Italia: origine, diffusione e possibili esiti. Psicologia Sociale. 15(2), 203-223. DOI: 10.1482/96843

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Zappalà S., Bigliardi E., Toscano F. Tagliabue, S. (2020) Pubblica Amministrazione: Lo smart working al tempo del COVID-19. Sviluppo e Organizzazione, n. 296, 82-89.

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