La realtà del cloud disegna la futura piattaforma dell’IT

I dati dello ‘State of the Cloud Report 2019’ elaborati da RightScale parlano di un modello industriale dell’IT che si sta affermando molto velocemente, mettendo in evidenza problemi, sfide e opportunità per le aziende sia della domanda che dell’offerta.

Tenere sotto controllo costi e ridurre le inefficienze… del cloud. Sono queste oggi le priorità delle aziende che hanno investito nella nuova modalità di fruizione delle risorse ICT e che dimostrano come il cloud sia ormai sicuramente uscito dalla fase pionieristica per diventare un’opzione tecnologica matura e consistente, come qualsiasi altra soluzione ICT, i cui benefici non vengono messi certamente in dubbio, ma che volendo coglierli nel loro pieno potenziale diventa imperativo implementare una doppia strategia fatta di due binari che corrono in parallelo: uno di controllo della spesa l’altro di una sua continua ottimizzazione.

È questo uno dei principali risultati emersi dalla ricerca ‘State of the Cloud Report 2019’, arrivata quest’anno alla nona edizione, elaborata da RightScale, società di ricerca recentemente acquisita dal fornitore di soluzioni statunitense Flexera Software che ha deciso di far proseguire le attività di indagine sul tema cloud mantenendo lo stesso staff di ricercatori.

Il lavoro traccia dei trend di sviluppo del mercato cloud che sicuramente danno delle indicazioni interessanti in generale per tutti i Paesi, Italia compresa. È utile però sapere che il campione nella composizione geografica e in quella dei settori industriali risulta piuttosto sbilanciato a favore dell’America del Nord e delle società che si occupano di servizi tecnologici e di sviluppo software (per informazioni precise vedi box ‘Il campione della ricerca’), i dati vanno letti quindi seguendo questa avvertenza, nella consapevolezza comunque che indicano una strada ormai segnata che sarà seguita nei prossimi tempi da tutti i Paesi e da tutti i settori.

È invece sicuramente positivo il fatto che i 786 intervistati, interpellati a gennaio 2019, risultano essere al 58% appartenenti ad aziende con più di 1.000 dipendenti (che nelle logiche anglosassoni definiscono un’azienda come ‘enterprise’) e al 42% appartenenti ad aziende con meno di 1.000 dipendenti, che negli USA connota una impresa come ‘piccola e media’ (riconoscibile dall’acronimo SMB, small and medium business), concetto che però è molto lontano dal significato italiano di PMI. RightScale comunque dichiara che il 22% del campione è connotato da aziende che hanno da 1 a 100 dipendenti.

Infine, il margine di errore dichiarato dei risultati della ricerca può essere del 3%.

La maturità del cloud

Per prima cosa i ricercatori di RightScale hanno suddiviso il campione analizzato in cinque categorie di utenti e identificato le modalità di approccio al cloud. A livello generale, oggi solo l’8% delle aziende intervistate dichiara di non essere interessata al cloud (categoria che RightScale identifica come ‘no plans’), mentre il 13% sta guardando/pianificando l’utilizzo della nuova modalità di fruizione delle risorse IT (watcher). Il 16% è invece nella prima fase di adozione e sta implementando i primi progetti cloud (beginner); il 31% ha invece già superato la prima fase e sta continuando a spostare workload in cloud (intermediate), mentre il 32%, ossia la maggioranza relativa del campione, sta utilizzando il cloud in modo molto consistente (advanced). Il 94% del campione sta quindi già lavorando con il cloud o sta pianificando di farlo a breve.

La differenza di risposta tra aziende enterprise e SMB è molto significativa solo per quanto riguarda la prima categoria. Nel campione solo enterprise le aziende che non guardano al cloud è solo il 4%, mentre in quelle SMB sono al 14% (ben dieci punti di differenza). Le differenze invece si attenuano nelle altre categorie. Le aziende ‘watcher’ tra le enterprise sono il 12% e il 14% quelle SMB. Le beginner nelle enterprise il 16% e il 15% nelle SMB (solo un punto di differenza tra le due categorie). Le intermediate tra le enterprise sono il 34%, il 27% tra le SMB. Infine le advanced sono il 34% tra le enterprise e il 30% tra le SMB (vedi grafico 1). Il 94% del campione che sta già lavorando con il cloud, o che ha pianificato di farlo a breve, si suddivide nel 69% di intervistati che approcciano un ambiente di cloud ibrido (ossia dove convivono sia soluzioni di cloud privato che pubblico), il 22% di cloud pubblico e solo il 3% di cloud privato.

Multicloud realtà in crescita

L’84% delle aziende enterprise e il 61% di quelle SMB hanno dichiarato di lavorare ormai in un contesto multicloud. Significativa la crescita registrata su questo tema rispetto alla rilevazione del 2018 quando si dichiararono operative in un contesto multicloud l’81% delle enterprise, e quindi la crescita registrata è del 3%, e il 51% di quelle SMB. Tra queste ultime si è quindi registrato un vero e proprio balzo di ben 10 punti in soli dodici mesi!

Più nello specifico l’84% delle aziende enterprise che operano in un contesto multicloud si dividono così: il 58% lavora con più ambienti cloud ibridi, il 17% con più cloud pubblici e il 9% con più cloud privati. Invece il 61% delle SMB risulta composto da: il 35% cloud ibrido, il 20% lavora con più cloud pubblici e il 6% con più cloud privati.

Il numero medio di operatori cloud utilizzati dal campione è pari a 3,4 ma a questi si deve aggiungere il valore di 1,5 che rappresenta il numero di fornitori cloud che le aziende stanno ‘testando’ per ampliare l’utilizzo di questi servizi su altri temi finora non toccati. Globalmente quindi siamo di fronte a una media di utilizzo e potenziale utilizzo di diversi fornitori cloud praticamente pari a 5 (4,9 per la precisione).

Essendo questa una media significa che a fronte di operatori che utilizzano due/tre cloud contemporaneamente, ne troviamo altrettanti che oggi lavorano con sette/otto operatori diversi. Un numero quest’ultimo che si traduce anche in una complessità di gestione del cloud di non poco conto. Ma questo tema verrà approfondito più avanti.

Quanto si spende per i servizi cloud

In questa ricerca non poteva certo mancare una rilevazione sulla spesa in servizi cloud dichiarata dal campione. A questo proposito non è stato elaborato un dato medio relativo a tutte le indicazioni ricevute dagli intervistati, non avrebbe infatti nessun senso per l’eterogeneità del campione che registra naturalmente forti differenze tra la spesa delle realtà enterprise e quelle SMB. Vediamo quindi il dettaglio delle risposte raccolte.

Il 14% delle imprese enterprise spende fino a 120.000 dollari all’anno (cifra pari a un canone mensile di 10.000 dollari), ma in questa fascia invece, come era ovvio aspettarsi, si registra la maggior parte della spesa, il 51%, delle aziende SMB. Nella fascia dai 120.000 ai 600.000 dollari (fino a 50.000 dollari di canone mensile) troviamo invece il 21% delle enterprise e il 27% delle SMB.

Crescendo il rapporto naturalmente inizia a ribaltarsi. Infatti nella spesa tra 600.000 e 1,2 milioni di dollari (fino a 100.000 dollari al mese) le aziende enterprise sono il 12% e quelle SMB il 10%. Nella fascia da 1,2 a 2,4 milioni di dollari (fino a 200.000 dollarti al mese) enterprise 25% e SMB 7%. In quella tra 2,4 e 12 milioni di dollari (fino a un milione al mese) enterprise 25%, SMB 3%. Sopra invece a una spesa annuale di 12 milioni di dollari c’è solo il 13% rimanente delle aziende enterprise.

Le cifre che le aziende stanno spendendo nel cloud sono dunque ragguardevoli, e non si può non notare che le SMB, che solo in parte sono paragonabili alle tipiche PMI italiane, con una spesa annuale superiore ai 600.000 dollari sono ben il 20% del campione.

Da segnalare infine che a inizio anno, si ricorda che le interviste sono state fatte nel gennaio 2019, la previsione di crescita della spesa media del campione dichiarata per l’anno entrante relativa ai servizi di public cloud si attestava a un considerevole + 24%, mentre la media della crescita degli investimenti nel modello private cloud registrava un +8%.

Dove vanno i workload aziendali

Ma quanti workload sono in cloud? I ricercatori di RightScale hanno fatto anche questa domanda al campione, che a livello generale ha così risposto: il 38% dei workload è stato spostato in cloud pubblici, il 41% in cloud privati e solo il 21% non è ancora stato spostato.
Questo dato può sembrare in contraddizione con quanto affermato prima, ossia una forte crescita (+24%) nella spesa in servizi cloud pubblici, ma non è così, anzi. I due dati correlati ci dicono che proprio nel corso di questo 2019 le aziende hanno spostato, stanno spostando o sposteranno molti workload dai loro cloud privati ai cloud pubblici. In molti casi i workload vengono infatti prima caricati su cloud privati, che fungono quindi da vere e proprie ‘stazioni di transito’ per poi essere spostati, con ogni probabilità in modo definitivo, su cloud pubblici. Nella ricerca che RightScale farà a gennaio prossimo per realizzare il report ‘State of the Cloud 2020’ sarà interessante andare a verificare se quanto detto si sarà concretamente realizzato oppure no. Ossia se a una crescita dei workload nei cloud pubblici corrisponderà un calo di quelli nei cloud privati, che comunque potranno essere alimentati anche da nuovi workload in arrivo dagli ambienti onpremise.

Per quanto riguarda lo spostamento dei workload aziendali in cloud è inoltre interessante comparare i comportamenti distinti delle imprese enterprise con quelle SMB. I workload in cloud pubblici sono il 33% per le enterprise e il 43% per le SMB, ben dieci punti di differenza in più. I workload spostati nei cloud privati sono il 46% nelle enterprise e il 35% nelle SMB, una differenza in negativo quasi speculare alla situazione precedente. Mentre i workload che ‘sono rimasti a casa’ sono il 21% per le enterprise e il 22% per le SMB (grafico 2).

In questo caso il numero maggiore di workload su cloud pubblici delle SMB rispetto a quello delle enterprise si può spiegare con il fatto che molte aziende ‘medio-piccole’ hanno deciso di saltare il passaggio del cloud privato, caricando direttamente una parte dei loro workload onpremise su cloud pubblici. Questo, evidentemente, per evitare onerosi investimenti infrastrutturali nella trasformazione interna dei propri sistemi informativi.

I team di controllo del cloud

Rivolgendosi sempre di più al cloud, molte aziende hanno creato dei team centrali per il cloud, in molti casi dei veri e propri ‘Centri di Eccellenza Cloud’ il cui compito è centralizzare il controllo di questi ambienti, ottimizzare l’utilizzo di tool per il cloud, accelerare l’adozione del cloud per tutte le istanze aziendali che sono ancora rimaste in casa, ma anche controllarne i rischi, e soprattutto come vedremo più avanti, tenere a bada i costi. In questa voce si registra una forte disparità tra quanto fanno le aziende enterprise e quelle SMB, che soffrono di una minore capacità di investimento, ma che sicuramente hanno problemi di controllo non dissimili da quelle enterprise, e hanno sicuramente tra le priorità anche la gestione della spesa cloud. A livello generale le aziende che hanno attivato al loro interno un centro specializzato per il controllo del cloud sono il 51%, che nel dettaglio significa il 66% delle imprese enterprise e il 31% di quelle SMB. I clienti di servizi cloud che hanno pianificato la realizzazione di un centro di questo tipo sono invece il 23% (enterprise 21%, SMB 25%). Mentre quelle che non hanno piani che vanno in questa direzione sono il 26% del campione totale (enterprise 13%, SMB 44%).

Ma quali sono i compiti che devono assolvere questi centri di competenza e come sono cambiati rispetto all’anno scorso? Vediamo i primi cinque impegni evidenziati dalla ricerca (si segnala però che per rispondere a questa domanda i ricercatori si sono focalizzati solo sui risultati emersi dal campione delle aziende enterprise).

Il primo compito per il 2019 assegnato ai centri di competenza cloud presenti in azienda è quello di ‘gestire e ottimizzare la spesa cloud’, voce che ha registrato il 68% delle risposte. L’anno scorso questo compito era risultato al secondo posto con il 64%, dietro al 69% di risposte che indicavano come impegno primario quello di ‘decidere/segnalare ai responsabili aziendali le applicazioni più adeguate per andare in cloud’. Oggi questa voce è andata al secondo posto con il 62% delle risposte.

Siamo davanti a una inversione di priorità interessante perché ci segnala come la sensibilità delle aziende si sia spostata dalla piena fiducia nel cloud alla più realistica esigenza di tutelare i benefici del cloud da una spesa che se non seguita può andare fuori controllo.

Al terzo posto si conferma invece il compito di ‘definire le policy per l’utilizzo del cloud’ che passa dal 60% del 2018 al 59% del 2019, praticamente stabile. In quarta posizione entra una voce non censita nella ricerca dell’anno scorso: ‘l’automazione delle policy per l’utilizzo del cloud’ che raccoglie il 57% delle risposte del campione.

Infine in quinta posizione il compito di ‘svolgere un ruolo da cloud broker’ che passa dal 60% del 2018 al 54% di quest’anno.

Sfide e principali iniziative in corso

Nelle prime cinque sfide per le aziende enterprise si registrano al primo posto a pari merito con l’84% sia la ‘gestione della spesa cloud’ che il tema della ‘governance’. Segue la sicurezza all’81% e poi ancora a pari merito al 79% la ‘compliance’ e la ‘mancanza di risorse esperte sui temi cloud’ (vedi grafico 3).

Per le aziende SMB è invece proprio la mancanza di competenze la prima sfida da affrontare, che registra il 79% delle risposte. Segue la governance al 73% e poi la sicurezza al 72%. In quarta posizione si trova la compliance con il 71%, e in quinta posizione, con il 69%, la gestione della spesa cloud. Un andamento che se appare quasi come del tutto speculare tra le due categorie di aziende, indica una serie di problematiche comuni alle due categorie tutte raggruppate in un intorno di soli 15 punti, dal 69% all’84%, e che ci può far dire quindi che i problemi e le complessità da affrontare, seppur con livelli diversi, sono in fondo le stesse. Se così stanno le cose, il messaggio verso i fornitori di strumenti per gestire il cloud è piuttosto forte: il mercato richiede strumenti per gestire problemi comuni tra tutte le aziende, e questi devono essere in grado di calibrarsi con flessibilità alle caratteristiche di ogni azienda.

Ma quali sono le iniziative che le aziende utenti di servizi cloud hanno pianificato per il 2019, e si presume stiamo portando avanti in questi mesi?

In prima posizione, naturalmente non si possono che trovare iniziative volte a ottimizzare l’utilizzo dei cloud esistenti per rispondere all’esigenza evidenziata di taglio dei costi; iniziativa che ha raccolto il 64% del campione. Al secondo posto, con il 58%, si registra lo ‘spostamento di nuovi workload nel cloud’.

In terza posizione, molto distante dalle prime due poiché ha raccolto il 39% del campione, si trova ‘il maggior utilizzo di container’ insieme all’implementazione di una strategia ‘cloud first’.

Fanno seguito sempre a pari merito, questa volta al 35%, ‘l’automazione delle policy di governance’ e la necessità di ottenere ‘un reporting migliore sui costi del cloud’. Il 33% del campione dichiara poi ‘aumentare l’utilizzo dei cloud pubblici già in utilizzo’ insieme, sempre al 33%, all’intenzione di ‘implementare una metodologia di continuous integration and continuous delivery’.

Infine seguono: al 29% ‘il passaggio dall’utilizzo di soluzioni software onpremise a servizi SaaS’; al 24% ‘la gestione delle licenze software in cloud’ e al 20% ‘fare in modo che l’IT possa agire come broker di servizi cloud’.

Le iniziative per ottimizzare i costi del cloud

Il paradosso più sorprendente che emerge dai dati della ricerca è quello relativo al livello di automazione dei processi che possono aiutare a tenere a bada i costi del cloud. La ricerca su questo argomento presenta i soli dati generali e non quelli distinti delle aziende enterprise e SMB. È naturale aspettarsi che l’utilizzo di soluzioni automatiche sia infatti più forte nelle realtà enterprise che non in quelle SMB, ma in realtà i risultati sono tali che un lettore attento può facilmente individuare come il confronto generale tra l’utilizzo di tool automatizzati e l’operatività manuale porta alla facile conclusione che anche negli ambienti enterprise non tutti i processi sono oggi automatizzati.

I ricercatori non approfondiscono questo punto, e quindi non sappiamo da quali fattori possa dipendere la situazione. Possiamo solo immaginare del tutto empiricamente, e quindi non sulla base di numeri concreti, che tra queste ragioni potremmo trovare: un costo e/o un livello di maturità dei tool di automazione dei processi cloud non in linea con le aspettative delle aziende utenti; la scarsa disponibilità di personale che conosce questi strumenti e che è capace di utilizzarli nel modo più efficiente ed efficace; il fatto che magari queste soluzioni non risultano poi così modulari oppure non sono scalabili come si vorrebbe… Le ipotesi che si possono fare, senza riscontro di dati oggettivi, sono molte ma è facile che sparando a caso in tutte le direzioni, magari si incappa anche in qualche interpretazione giusta, che però non possiamo riconoscere.

Fatte queste doverose considerazioni, andiamo a vedere i numeri emersi dalla ricerca (vedi grafico 4).

Una delle soluzioni più utilizzate per ottimizzare il costo del cloud è lo ‘spegnimento dei workload che sono rimasti online dopo alcune ore di non utilizzo’. Questa soluzione è implementata in maniera automatica dal 35% del campione, mentre viene gestita in modo manuale dal 36%; anche se non esplicitato il restante 29% del campione non ha risposto e quindi si può intuire che non abbia attiva una policy automatica di questo tipo.

Un altro intervento molto utilizzato è il ‘dimensionamento corretto delle istanze’. Questa soluzione viene implementata in modo automatico dal 31% del campione e in modo manuale dal 49%; il restante 20% non ha risposto e probabilmente non fa nulla che vada in questa direzione.

Per quanto riguarda invece ‘l’utilizzo di tag’, questo processo è gestito in modo automatico dal 32% degli intervistati e in modo manuale dal 38% (il 30% non ha risposto).

Anche ‘fissare le date di scadenza’ di utilizzo di determinate risorse in cloud è un’iniziativa che aiuta a tenere a bada i costi di questi servizi. In questo caso l’automazione è utilizzata dal 29% del campione e la gestione manuale dal 38% (il 33% non ha risposto).

L’eliminazione di storage in cloud rimasto inattivo è gestita in automatico dal 24% del campione e in modo manuale dal 49% (il 27% non ha risposto).

La verifica delle compliance relative alle licenze software: il 22% lo fa in modo automatico, il 53% in modo manuale (il 25% non ha risposto).

La ‘definizione delle dimensioni e dei tipi di istanze consentite’ è gestita in automatico dal 21% del campione e manualmente dal 50% (il 29% non ha risposto).

Utilizzo di offerte e di sconti che spesso vengono lanciati dai provider è gestito in automatico dal 21% e manualmente dal 44% (il 35% non ha risposto).

Lo ‘spostamento su servizi cloud a più basso costo’ risulta al 15% in automatico, mentre dal 42% del campione viene fatto manualmente (il 43% del campione non ha risposto).

Infine lo ‘spostamento di dati e risorse IT in data center del/dei proivider situati in regioni cloud a più basso costo’ è gestito in automatico dal 15% del campione e manualmente dal 47% (il 38% non ha risposto).

In generale il margine di miglioramento medio sui costi del cloud dal campione degli intervistati è indicato al 27%. Flexera Software, società che controlla ora RightScale, grazie alla sua esperienza anche di fornitore di soluzioni automatizzate che consentono un migliore gestione dei costi del cloud, segnala questa valutazione come sottostimata.

Tecnologie e servizi container utilizzati

Le tecnologie container sono largamente usate in ambito cloud da parte delle aziende del campione. In tal senso la ricerca dà uno spaccato sui prodotti e i servizi che le aziende hanno già implementato o prevedono di farlo nel corso del 2019. Lo strumento container più utilizzato dal campione è Docker, il 57% degli intervistati ha affermato di averlo implementato, un altro 21% ha invece pianificato un suo utilizzo nel corso di quest’anno.

Segue in seconda posizione Kubernetes, già in utilizzo dal 48% del campione e in corso di adozione da un altro 27% degli intervistati.

Per quanto riguarda questi due primi strumenti, la ricerca sottolinea come Docker continui a crescere in modo significativo, nel 2018 le aziende che lo utilizzavano erano il 49% e ora, come detto, sono il 57%, ma sottolinea anche che la vera star delle tecnologie container oggi è Kubernetes. La soluzione nel 2018 era utilizzata dal 27% degli intervistati e ora nel 2019 dal 48%. In dodici mesi si è assistito a una crescita di ben 21 punti, ossia quasi dell’80%, rispetto a 12 mesi prima!

La considerazione che si può fare in proposito è che se tutte le aziende che a gennaio hanno dichiarato che nel corso del 2019 implemeteranno sia Docker che Kubernetes, alla fine di quest’anno il livello di utilizzo del primo tool sarà arrivato al 78% del campione, e il secondo al 75%… Questi due numeri, se si verificheranno, ci diranno non solo che la distanza tra i due strumenti si sarà ridotta a soli 3 punti percentuali (che è anche il margine di errore stimato dai ricercatori all’inizio di questo report), ma che molte aziende utilizzano entrambi i tool. Anzi è molto probabile che molte aziende insieme a Docker e Kubernetes utilizzino anche altro.

Anche se la ricerca non specifica quanti tool e/o servizi container vengono utilizzati dalle aziende intervistate, dai risultati emersi si può però intuire che la media è sicuramente sopra a 3.

Dopo Docker e Kubernetes, infatti, in terza posizione troviamo il servizio di AWS ECS/EKS, utilizzato dal 44% del campione e in corso di implementazione da un altro 26%.

In quarta posizione Azure Container Services, utilizzato dal 28% e pianificato da un altro 27% degli intervistati.

A seguire Docker Enterprise: utilizzo 27%, pianificato 22%. Red Hat OpenShift: utilizzo 24%, pianificato 19%. Docker Swarm: utilizzo 21%, pianificato 22%. Google Container Engine: utilizzo 15%, pianificato 23%. Pivotal Cloud Foundry: utilizzo 13%, pianificato 15%. Mesosphere: utilizzo 10%, pianificato 10%. Rancher: utilizzo 9%, pianificato 15%.

La domanda di servizi erogati da cloud pubblici

Dai cloud pubblici i clienti chiedono oggi molto di più rispetto ai servizi basilari che forniscono risorse di elaborazione, storage e servizi di rete.

La ricerca di RightScale mette chiaramente in luce questo fatto classificando ben 16 tipologie di servizi specificando quante aziende del campione li stanno già utilizzando, quante li stanno sperimentando e quante stanno pianificando di utilizzarli/sperimentarli nel corso del 2019.

Il servizio più utilizzato dai clienti dei cloud pubblici è ‘DB as a Service’ relativo agli strumenti relazionali: il 53% lo utilizza, il 15% lo sta sperimentando e il 5% lo ha pianificato.

Seguono le ‘notifiche push’: 43% lo utilizza, 12% lo sperimenta, il 15% lo ha pianificato.

Data warehouse su cloud pubblico: il 40% lo utilizza, il 14% lo sperimenta e il 17% lo ha pianificato. Per questa voce i ricercatori segnalano la forte crescita registrata rispetto all’utilizzo individuato nella ricerca del 2018, 29%. Rispetto al 40% registrato per il 2019 sono 11 punti in più, ossia una crescita del +38%.

Queueing: utilizzo 40%, sperimentazione 13%, pianificato 13%.

‘DB as a Service’ relativo a strumenti NoSQL: utilizzo 39%, in sperimentazione 17%, pianificato 12%.

‘Container as a Service’: utilizzo 37%, in sperimentazione 24%, pianificato 15%. Secondo i ricercatori questo servizio nel breve periodo registrerà una forte crescita nella sua adozione poichè la somma delle risposte del campione relative alla sperimentazione del servizio (24%) e della sua pianificazione (15%), raggiunge il 39% e supera di due punti il valore del campione che utilizza già questi servizi (37%).

Mobile services: il 37% lo utilizza, il 13% lo sta sperimentando e il 15% lo ha pianificato.

Serverless: 36% in utilizzo, 22% in sperimentazione, 17% pianificato. Anche questo per i ricercatori sarà uno dei servizi erogati da cloud pubblici che crescerà di più nel breve periodo: il 39% lo sta sperimentando o lo ha pianificato.

Caching: 36% in utilizzo, 16% in sperimentazione, 14% pianificato.

Batch processing: 36% in utilizzo, 15% in sperimentazione, 12% pianificato.

Search: 36% in utilizzo, 14% in sperimentazione, 12% pianificato.

Hadoop: 30% in utilizzo, 18% in sperimentazione, 13% pianificato.

Stream processing: 30% utilizzo, 15% in sperimentazione, 15% pianificato.

Machine learning: 26% in utilizzo, 26% in sperimentazione, 22% pianificato.

Disaster Recovery as a service: 26% in utilizzo, 17% in sperimentazione, 18% già pianificato.

IoT: 21% in utilizzo, 21% in sperimentazione, 20% già pianificato.

Anche queste ultime quattro voci per i ricercartori di RightScale rappresentano nel breve perioso delle aree di sviluppo del business dei fornitori di public cloud in forte crescita. Il ‘Disaster Recovery as a Service’ registra il 26% di utilizzo a fronte di un 35% di possibili futuri utilizzatori.

Il machine learning potenzialmente rappresenta una delle aree a più elevata crescita: utilizzo 26%, possibile utilizzo futuro 48% ossia una crescita che arriva al +184%.

Ma l’area che secondo i ricercatori crescerà di più sarà quella dei servizi IoT erogati via cloud: 21% di utilizzo, 41% di possibile utilizzo futuro. In questo caso, se si verificasse tutto il potenziale, la crescita sarebbe del +195%.

Conclusioni

Alla fine di questa lunga esposizione di numeri, gli stimoli che si possono raccogliere per fare delle riflessioni relative ai servizi cloud sono molti. Ve ne proponiamo tre che secondo noi sono le più importanti. La prima riflessione prende spunto proprio dagli ultimi dati visti, quelli relativi alla domanda di servizi erogati dai cloud pubblici, dove il tasso di crescita potenziale nel breve periodo per soluzioni particolarmente innovative come i ‘servizi IoT’ e il ‘machine learning’ erogati via cloud raggiunge tassi molto elevati: +195% per i primi, ovvero quasi tre volte rispetto all’utilizzo attuale, e +184% per il machine learning.

Da questi numeri traspare il fatto che il cloud si connota come una nuova piattaforma IT in grado di abilitare anche le innovazioni più spinte in poco tempo, mentre i servizi messi in campo solo due o tre anni fa sono già diventati commodity. In questo scenario la richiesta di ottimizzazione dei costi può essere letta quindi come la volontà delle aziende di cercare di risparmiare risorse oggi spese nella gestione dei servizi più maturi, per spingere invece gli investimenti su quelli più avanzati.

Se questo comportamento sarà verificato dai fatti nei prossimi mesi, significa che il modello di business dei cloud provider verrà messo ancora più sotto pressione: i margini nei servizi generici sono destinati a ridursi velocemente, mentre si guadagna dalle nuove proposte, con l’aggiunta del fatto che lo spazio temporale che trasforma un’innovazione dirompente in una commodity è già molto breve, oggi forse uno o anche due anni, e che tendenzialmente si ridurrà sempre di più. In questo scenario, i cloud service provider che vinceranno saranno coloro che dimostreranno di abilitare le innovazioni più importanti più velocemente degli altri cercando di presidiare dei domini tecnologici specialistici.

La seconda riflessione è relativa al paradosso che vede le aziende dare priorità alle strategie di ottimizzazione dei costi dei servizi cloud, ma che contemporaneamente sono poco propense all’implementazione di soluzioni di automazione che consetirebbero con facilità di raggiungere questi obiettivi.

Cosa c’è che non va? Forse le soluzioni proposte dal mercato sono troppo care, troppo difficili da utilizzare, poco mature e poco scalabili? Secondo chi scrive c’è davanti ai fornitori di queste soluzioni, o a nuovi operatori che vogliono investire in questo nuovo mercato di tool, un ampio margine di miglioramento rispetto ai prodotti esistenti.

Infine terzo tema: la difficile governance del cloud nelle aziende SMB. Come si è visto dalla ricerca le strutture di controllo delle attività cloud emergono come elemento indispensabile per chiunque decida di intraprendere questa strada. Se questo è un problema affrontabile dalle realtà enterprise con relativa facilità, non lo è invece per le aziende SMB. Queste non hanno risorse a sufficienza per costruire un centro di controllo interno; e cercare anche sul mercato esperti che possono entrare in azienda per svolgere queste attività oggi è ancora molto costoso. Le risorse sono altresì scarse anche solo per formare queste competenze all’interno di queste realtà.

Come si può rispondere a questo oggettivo stato di difficoltà? Quello che possiamo immaginare che succeda a breve è che parallelamente ai servizi esterni nati per seguire le problematiche di rete e/o di sicurezza (i famosi NOC e SOC, network/security operation center), nascano anche dei centri servizi di questo tipo specializzati sul cloud per portare con più facilità, immediatezza e a costi minori proprio i servizi di governance alle realtà SMB. Quello che potrà succedere sarà anche che come molti NOC sono diventati nel tempo anche SOC, probabilmente chi già opera con le modalità di outsourcing dei servizi gestiti in altri ambiti, per arricchire la sua offerta, penserà a estendere le sue competenze anche alla gestione dei servizi cloud.

In definitiva quindi possiamo dire che se il cloud sta per certi versi iniziando a vivere delle dinamiche simili a quelle dei mercati più maturi, di fronte ai nuovi problemi e alle nuove sfide, che pone a tutti, si presentano anche molte nuove opportunità. Sul lato dell’offerta, chi sarà pronto a cogliere queste opportunità nei prossimi dodici mesi troverà terreno fertile alle sue proposte.

Sul lato della domanda, in generale la ricerca ci dice che il cloud sta diventando la nuova piattaforma dell’IT, oggi ancora in alternativa a quelle onpremise esistenti, ma che è destinata a diventare, in un periodo più breve di quanto oggi in molti pensano, la nuova realtà dell’IT. Certo ci sarà ancora spazio per l’onpremise, ma questo sarà sempre più ridotto e le nuove cose si faranno partendo, e solo, dal cloud. Chi tra le aziende utenti è consapevole di questo scenario e ha imboccato da tempo questa strada non corre grossi rischi, se non quello dell’affidabilità nel tempo dei fornitori scelti. Chi invece è rimasto fino a oggi a guardare alla finestra rinviando quegli investimenti necessari alla modernizzazione delle proprie infrastrutture, già oggi corre il rischio di avere un IT che incide negativamente sulla competitività della propria impresa, e questo può aumentare rapidamente e in modo consistente se si continua a non fare niente.


Ruggero Vota

Con una solida formazione informatica e dopo un’esperienza triennale in software house, nel 1986 inizia l’attività giornalistica su riviste del settore ICT, mensili e settimanali. Dal 2012 è Caporedattore delle riviste ICT di Soi...

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