Il pianoforte, tardi ma con grande passione

The Sound of IT – Intervista a Claude Ostfeld, Fondatore di C. H. Ostfeld

Come è nata la sua passione per la musica?

Io sono nato negli Stati Uniti e fin da bambino ho sviluppato lì questa passione. Tra i primi ricordi c’è un piccolo aneddoto di quando avevo cinque anni. Eravamo nel 1953 e mi piaceva molto il brano Tico Tico dello spagnolo Xavier Cugat, marito dell’attrice Abbe Lane particolarmente nota anche in Italia. Tutti i giorni restavo religiosamente davanti al giradischi ad ascoltarlo più e più volte fino al  giorno che successe l’irrimediabile. Al pomeriggio mia madre aveva l’abitudine di portarmi un bicchiere di latte caldo, allo scopo di farmi crescere robusto (cosa successa ma non credo per quello). Una volta lo urtai con il gomito rovesciandone il contenuto sul giradischi che si guastò senza possibilità di recupero.

Piano piano crescendo il mio interesse si trasferì anche su altri argomenti, continuando comunque ad ascoltare musica senza fissarmi su generi particolari e mantenendo il desiderio di imparare uno strumento. Tanto che intorno ai 14 anni iniziai a prendere lezioni, ma i metodi di insegnamento erano molto diversi rispetto a quelli odierni. Li definirei cattedratici. Se all’epoca prima di poter mettere le mani sul pianoforte dovevi infatti frequentare almeno due anni di teoria oggi è tutto cambiato. Ed ecco che molto tempo dopo quella passione che mi era rimasta dentro ha finalmente avuto la possibilità di trovare il suo giusto sfogo.

Come è successo?

Claude Ostfeld, Fondatore di C. H. Ostfeld

La premessa è che a 15 anni mi sono trasferito in Italia per studiare e ci sono poi rimasto fino ai giorni nostri. Ecco che tredici anni fa mia suocera doveva cambiare casa e mi chiese di mettere all’asta online il suo pianoforte, che mia moglie aveva utilizzato per studiare musica da ragazza. Io colsi l’occasione e lo portai a casa anche se mia moglie non riusciva a capirne il motivo visto che entrambi non suonavamo. L’obiettivo era proprio quello di imparare a farlo. Ho quindi iniziato da auto didatta con il metodo anglosassone basato sulle lettere (C-D-E al posto di Do-Re-Mi), mi sono nel contempo dedicato alla teoria, e poi ho cercato una brava insegnante. Da lì scale, solfeggi, e tutti gli altri elementi di base obbligatori per chi deve studiare uno strumento. Ecco che, avendo un background informatico, non ho avuto grande difficoltà, trattandosi di imparare i simboli e le note anziché, ad esempio, le regole che danno forma a un algoritmo. Più difficile era invece associare i toni alle singole note. Successivamente mi sono appassionato al corso di studi dell’ABRSM (The Associated Board of the Royal Schools of Music) e ho sostenuto gli esami dei primi tre anni, a Milano, compiendo poi ulteriori progressi oltre che investendo in nuovi pianoforti, ma anche tastiere. Oggi ho un pianoforte a mezza coda GX2 della Kawai.

Quali sono i suoi musicisti preferiti, tenendo anche conto che è americano ma vive ormai da tempo in Italia?

Tra band, cantanti, compositori, pianisti e direttori di orchestra non basterebbe un’enciclopedia per elencare tutti. I primi che mi vengono in mente sono, in ordine sparso, Beatles, Rolling Stones, Pooh, Fabrizio De André, Sergio Endrigo, Paolo Conte, Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Mina, Nancy Sinatra, Enzo Jannacci, Bruce Springsteen, David Bowie, Vivaldi, Bach, Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven, Franz Liszt, Fryderyk Chopin, Gioacchino Rossini, Daniel Barenboim, Martha Argerich, Vladimir Horowitz, Claudio Arrau, Leonard Bernstein… Premesso questo approfondisco i Beatles le cui prime canzoni traducevo in italiano, a cominciare da Help, anche per fare le prime conquiste. Ci sarebbe molto da dire su di loro ma una cosa poco nota è che sia John Lennon che Paul McCartney avevano una grande conoscenza della teoria musicale. In quelle che alcuni definiscono ‘canzonette’ c’erano delle trovate fuori dagli schemi classici come ad esempio l’uso della scala Mixolydiana (una delle sette scale diatoniche) in Norwegian Wood. Non è quindi un caso che il loro nome derivi da Beat, battito, aveva senso per il loro modo di fare musica. Ma non c’era solo il discorso musicale ma anche quello dell’immagine. E in questo i Beatles dovettero tanto a Brian Epstein, il loro manager, consentì a quattro ragazzi di Liverpool fuori dagli schemi di rendersi presentabili e alla fine diventare anche degli uomini di impresa. I Rolling Stones, anche loro con grandi brani come Ruby Tuesday o Let’s Spend The Night Together. puntavano invece sulla provocazione fin dalle copertine dei dischi per far restare a bocca aperta il pubblico.

Mentre ascoltavo questi gruppi ho iniziato a scoprire anche quanto veniva prodotto in Italia. Mi sono appassionato ai Pooh e al loro percorso nel tempo fino ad oggi, a Mina (tutto il suo repertorio è da ascoltare), ma anche ai cantautori. Quindi i già citati Fabrizio De André (suggerisco i concerti con la PFM), Lucio Dalla, Sergio Endrigo, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, e poi tutti coloro che a Milano si esibivano la sera al locale Derby. C’è però un italiano che secondo me ha rivoluzionato più di tutti il modo di fare canzone in Italia.

Di chi si tratta?

Gino Paoli, personaggio fondamentale nella prima metà degli Anni ‘60 con brani come Sapore di Sale, Il cielo in una Stanza, La gatta e altri, molto più interessanti per i giovani rispetto a quanto prodotto fino ad allora. Per me è stato il più rivoluzionario in assoluto. Anche più di Domenico Modugno che negli ultimi anni cinquanta aveva svoltato con Nel blu dipinto di blu. Di Modugno ricordo che, quando ero ancora negli Stati Uniti, lo vidi esibirsi all’Ed Sullivan Show. Accompagnandosi alla chitarra, interpretava canzoni popolari pugliesi, dalle radici orientali, che non avevano nulla che vedere con la ‘musica melodica italiana’. A testimonianza di una grande cultura. Infine voglio citare anche Lucio Battisti personaggio formidabile ma la cui vena creativa è stata a un certo punto mitigata rispetto ai suoi inizi senza freni.

Parliamo infine del successo in America. Che cosa impedisce a uno straniero di affermarsi oltreoceano, anche chi arriva dall’Inghilterra a volte fa fatica…

Negli Stati Uniti c’è un grosso discorso di business e le regole sono anche molto diverse a livello contrattuale rispetto all’Europa. Chi ha una grande forza può affermarsi ma altrimenti si rivela una realtà molto difficile e dura. D’altro canto il pubblico è abituato a farsi piacere di tutto, e questo non vale solo per la musica. Pensiamo agli show televisivi con le risate registrate. Detto questo è sufficiente guardare il film The Blues Brothers per capire la grande musica prodotta in America. Racchiude tutti i geni del periodo, da Ray Charles in poi. Guardando agli italiani, esistono eccezioni come Andrea Bocelli, che ha sfondato all’estero per la grande capacità comunicativa ma anche per il grande impegno, prima di tutto nello studiare e prepararsi. Non è certamente un fenomeno creato in laboratorio. Al contrario in studio e con gli strumenti tecnici è possibile dare vita a dei fenomeni che in realtà non lo sono. In generale per affermarsi credo ci voglia comunque del vero talento, tutto parte da lì, e poi la volontà e capacità di difendersi e reagire agli eventi contrari.


Paolo Morati

Giornalista professionista, dal 1997 si occupa dell’evoluzione delle tecnologie ICT destinate al mondo delle imprese e di quei trend e sviluppi infrastrutturali e applicativi che impattano sulla trasformazione di modelli e processi di business, e sull'esperienza di utenti e clien...

Office Automation è il periodico di comunicazione, edito da Soiel International in versione cartacea e on-line, dedicato ai temi dell’ICT e delle soluzioni per il digitale.


Soiel International, edita le riviste

Officelayout 198

Officelayout

Progettare arredare gestire lo spazio ufficio
Luglio-Settembre
N. 198

Abbonati
Innovazione.PA n. 56

innovazione.PA

La Pubblica Amministrazione digitale
Luglio-Agosto
N. 56

Abbonati
Executive.IT n.5 2024

Executive.IT

Da Gartner strategie per il management d'impresa
Settembre-Ottobre
N. 5

Abbonati