Anche l’accertamento fiscale è un rischio da gestire

In mercati sempre più competitivi, per salvaguardare i margini di profitto dell’impresa, bisogna capire come gestire eventuali controversie con la controparte tributaria.

In un’economia matura il margine è compresso dalla concorrenza. È sempre più difficile ottenere un risultato positivo a fine anno e, spesso, è nella misura di qualche punto percentuale. Certamente, il risultato finale è anche frutto del contributo fiscale (o costo, o altro a seconda della personale visione dell’imprenditore), ma resta l’esiguità del risultato rispetto all’impegno profuso per ottenerlo. Impegno che è soggetto a una molteplicità di rischi, spesso percepiti ma di cui si ha una consapevolezza limitata e quindi ancor meno gestiti.

Nuova attenzione alla gestione dei rischi d’impresa

Basti pensare ai rischi gestiti tradizionalmente, quali il rischio cambio o il rischio credito, per accorgersi di quale altre aree di rischio non sono né conosciute né presidiate.
La dinamicità delle transazioni economiche spinge ad attività sempre più frenetiche spesso con l’impossibilità di approfondimento conoscitivo, quindi di accrescimento di competenze e conoscenze adeguate, così accrescendo la possibilità di incorrere in errori. Peraltro, l’evoluzione normativa pone all’impresa ulteriori oneri. Da un lato, l’estensione dei dispositivi sanzionatori aumenta il rischio di incorrere in penalizzazioni anche monetarie, dall’altro pone paletti stringenti all’operatività aziendale quali la verifica dei requisiti di continuità della gestione a garanzia dei terzi.
Se, quindi, le fattispecie sanzionate e l’entità delle sanzioni è maggiore (vedi per esempio l’estensione dei reati presupposto della 231/2001), dall’altro la riforma del diritto fallimentare, ora sostituito con la normativa sulla crisi dell’impresa, richiede alle società di guardare anche oltre il periodo annuale per garantire la continuità aziendale. Un grande sforzo aggiuntivo che si somma alla competizione sui mercati.
Ne consegue la necessità di preservare la capacità dell’impresa nel conseguire risultati positivi, determinati non solo dalla presenza commerciale ma anche, e forse soprattutto, dalla capacità di non subire perdite.
Da qui l’attenzione alla gestione del rischio che impone di definire i rischi incombenti, e in quanto conosciuti, di gestirli.

Il rischio di accertamento fiscale

La natura umana ci porta ad assumere rischi minori quando siamo portati a massimizzare i guadagni; diversamente, quando dobbiamo minimizzare le perdite, siamo generalmente disposti ad assumere rischi maggiori.
Ne risulta un potenziale compresso (bassa assunzione di rischio) quando la gestione comporta un risultato atteso positivo; invece, se il risultato atteso è negativo, si è portati ad accettare un maggiore rischio per risollevarlo. Proprio come un ciclista in ritardo: spinge anche se la strada è in discesa.
Tutto ciò, se ricondotto a una azienda familiare o a ristretta base societaria, avendo un perimetro circoscritto riporta la possibile perdita al medesimo soggetto che ha accettato il rischio. Nelle aziende a gestione manageriale, invece, il verificarsi del rischio quale evento negativo incide sul patrimonio di soggetti ignari.
Un rischio presente in ogni organizzazione economica è il rischio di accertamento fiscale. Il pensiero della quantità di norme tributarie dovrebbe immediatamente portarci a identificare la vastità del rischio. È più difficile determinare il peso, quanto inciderebbe sul risultato aziendale, o la probabilità che il rischio si avveri in un evento negativo.
Un’ulteriore riflessione, ragionando da un punto di vista prettamente economico, dovrebbe portarci a considerare la concreta capacità di accertamento, che è attesa in crescita grazie al cambiamento in corso: dalla verifica puntuale del singolo contribuente all’uso dei dati per individuare situazioni, anche qui, di rischio o di concreta non ottemperanza al dettato normativo.

Un esempio

Conoscere i rischi è fondamentale per implementare la loro gestione; collegare l’operatività aziendale con la possibilità che siano commessi illeciti, per desumerne la probabilità che essi si avverino e quindi determinarne le conseguenze.
Per esemplificare il concetto utilizzo un argomento attuale, di recente introduzione, come la fatturazione elettronica.
Dal 1° gennaio 2019 è obbligatorio emettere le fatture in modalità elettronica, trasmettendole all’Agenzia delle entrate affinché siano consegnate al cliente.
La data di emissione è quindi certificata dall’Agenzia così come tutti i dati contenuti nella fattura. Le variabili per determinare il rischio di incorrere in sanzioni sono legate al termine di emissione, alla concreta operatività interna, alla possibilità di verifica sia interna che esterna (Agenzia delle entrate), alla misura della sanzione.
In particolare la ritardata emissione della fattura è sanzionata con un importo da € 250 a € 2.000 per ogni singola fattura emessa in ritardo.
L’emissione delle fatture elettroniche è di recente introduzione; con termine iniziale lasco (entro la data di versamento dell’IVA periodica) poi ristretto, generalmente, a dodici giorni dalla data di effettuazione dell’operazione.
Una variabilità del termine già nel primo anno di introduzione dell’obbligo che aiuta a sottolineare la necessità di una adeguata formazione del personale coinvolto con riguardo sia agli aspetti normativi e relative circolari esplicative/applicative di origine ministeriale, che agli aspetti organizzativi e operativi interni adeguati alle mutate condizioni.
Va da sé che una verifica interna, di monitoraggio della quotidiana operatività, è un presidio per evitare sanzioni che, pur se contenute, si rivelano fastidiose anche per la contribuzione all’erosione di quel margine tanto agognato. Quindi il presidio della data di emissione delle fatture è già da sé una buona pratica di gestione del rischio.
Tuttavia, specie per il primo anno, data la novità della modalità elettronica di emissione delle fatture e il cambiamento del termine nel corso dell’anno, può risultare utile eseguire un controllo sulla data di emissione delle fatture.
Ricordo che, per data di emissione, a decorrere dal 01 gennaio 2019, si intende la data di consegna della fattura elettronica alla controparte, data certificata dal sistema di consegna fornito dalla stessa Agenzia delle entrate.
Il confronto tra data fattura e data emissione porta dunque alla verifica del rispetto dei termini di emissione.
Questo tipo di controllo, eseguito massivamente a posteriori, replica nella sostanza lo stesso controllo che è nella disponibilità dell’Agenzia fiscale. Trattandosi di dati conosciuti direttamente, verosimilmente la stessa Agenzia potrebbe utilizzarli per una facile esecuzione del controllo con generazione di comunicazioni di compliance (guarda che a noi risulta…) o di accertamento ed erogazione delle sanzioni.
L’utilizzo dei dati semplifica l’accertamento fiscale. Ma così come può utilizzarli l’Agenzia, anche l’impresa può procedere a un controllo interno massivo a posteriori. È certamente tardivo, ma può risultare comunque utile prima che l’Ufficio fiscale accerti la sanzione.
Va infatti ricordato l’istituto del ravvedimento operoso che permette al contribuente di ravvedersi del comportamento illecito (anche se solo amministrativo) prima che sia accertato, per limitare l’entità della sanzione. In alternativa potrebbe risultare più conveniente attendere l’accertamento per definire con il cosiddetto ‘cumulo giuridico’, vale a dire un importo maggiorato del massimo della sanzione ma ricondotto al complesso delle violazioni. Va da sé, che in tale ultimo caso, dovrebbe essere valutato l’accantonamento di uno specifico fondo di riserva per le sanzioni accertabili.

Conclusioni

Questo semplice esempio mostra gli aspetti essenziali della gestione del rischio, e nella specie del rischio fiscale, che possono essere sintetizzati con: l’identificazione delle fattispecie sanzionate, la determinazione e verifica dei presidi per limitare il verificarsi di eventi indesiderati, la ricerca di soluzioni di mitigazione del rischio e la quantificazione del danno in caso di insufficienza delle misure adottate.
Poiché l’azienda è un soggetto economico, va da sé che l’intera struttura di presidio è oggetto di valutazione economica costi/benefici. Se ne ricava, inoltre, una buona pratica, direi un precetto: una buona gestione del rischio inizia contestualmente alla deliberazione di attività aziendali, per cui una buona gestione del rischio è determinante in ogni attività gestionale. Qualora non si ravvisino rischi significativi, l’attuazione gestionale, l’operatività, va comunque monitorata per verificare se il presidio del rischio deve essere adeguato e ciò a garanzia dell’esistenza della stessa impresa.


Roberto Ferrari

Ragioniere commercialista iscritto all'ordine dei Dottori Commercialisti di Monza e Brianza. Inizia la carriera lavorativa presso l'ufficio fornitori di una nota multinazionale giapponese. Sin dall'avvio l'accompagna il terminale a fosfori verdi del sistema informatico aziendale e nell'arco di sei anni matura una significativa esperienza. Il desiderio di...

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