Uno sguardo a Spiderhead
Il film Netflix invita alla riflessione sull’industria farmacologica e la sicurezza delle sperimentazioni.
Quello di Spiderhead sulla piattaforma Netflix è stato un rilascio sottotono; eppure, gli elementi affinché il film fosse sulla bocca di tutti c’erano di sicuro. Prodotto ed interpretato da Chris Hemsworth (al momento al cinema con Thor: Love and Thunder), il film è diretto da Joseph Kosinski, il regista di Top Gun: Maverick, che sta spopolando ai botteghini. Rhett Reese and Paul Wernick, sceneggiatori di Zombieland e della irriverente trilogia di Deadpool, sono gli autori di una sceneggiatura intima che, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, ha ben poche scene d’azione. Si presenta come una pièce teatrale che punta tutto sulle relazioni tra i personaggi, in particolare quelle tra Hemsworth, Miles Teller e Jurnee Smollett. Tratto da Escape from Spiderhead, una storia breve di George Saunders, il film ruota intorno allo scienziato Steve Abnesti (Christ Hemsworth) che, affiancato da Verlain (Mark Paguio), è a capo di un’innovativa prigione, lo Spiderhead Penitentiary and Research Centre.
Le ben note divise arancioni che contraddistinguono i prigionieri negli Stati Uniti sono sostituite da vestiti di tutti i giorni, così come camere moderne e ricche di comfort sono preferite alle minimalistiche e spartane celle. I prigionieri, apparentemente piuttosto felici ed appagati, possono avventurarsi per l’isola e girare liberamente tra gli spazi della prigione, che includono comodi saloni, cucine ricche di ogni prelibatezza. In cambio di questa relativa libertà, i detenuti devono sottoporsi a dei trial medici per testare sulla loro pelle una serie di droghe prodotte da Steve, iniettate tramite un box che i partecipanti devono attaccare alla schiena. Ogni detenuto deve ufficialmente dare il proprio consenso prima di ogni iniezione, ma senza sapere quale droga testerà. Luvaactin, conosciuta anche con il nome di N-40, è la droga dell’amore. Se assunta fa innamorare e provare una profonda ed irresistibile attrazione.
Chi assume Verbaluce (N-15) prova l’irrefrenabile istinto di parlare, spiegare i propri pensieri e comportamenti; Daffodil (G-46) fa scaturire indomabili risate, Phobica (I-27) scatena un’irrazionale paura di qualunque cosa sia nelle vicinanze, mentre Darkenfloxx (I-16) instilla un dolore e una tristezza cosi profonde che può spingere al suicidio. Con il passare del tempo, i test diventano sempre più complicati e il consenso quasi una formalità che non può che essere concessa per il benessere generale degli altri detenuti.
La relazione
A prima vista, la relazione tra lo scienziato e i prigionieri sembra quasi una relazione d’amicizia. In particolare, quella tra Steve e Jeff, interpretato da Miles Teller (Whiplash, Top Gun: Maverick) chiave di volta della pellicola. Tra flashback che gettano luce sul motivo della sua presenza in carcere, e i complicati e segreti sentimenti per un’altra prigioniera, Lizzy (Jurnee Smollett), Jeff riacquista lentamente un’autonomia decisionale, guardando oltre la benevola facciata che Steve presenta ai suoi detenuti. Infatti Jeff, inizialmente accecato dai sensi di colpa che lo attanagliano, comincia gradualmente ad interrogarsi sulle ripercussioni etiche e morali del comportamento di Steve, redimendosi tramite questa presa di coscienza. Spiderhead si prende il suo tempo: presenta i protagonisti e immerge lo spettatore dell’eticamente problematico mondo di Steve e dei suoi esperimenti, lasciando che la tensione tra i personaggi aumenti lentamente. La pellicola però si perde all’apice, quasi come se il film non fosse in grado di reggere il culmine della tensione. I colpi di scena sono scontati e il senso di oppressione mentale ed emotiva che si sarebbe potuto costruire in contrapposizione alla – finta – libertà materiale non viene sfruttato a pieno.
Un invito alla riflessione
Il film invita alla riflessione sull’industria farmacologica e la sicurezza delle sperimentazioni; sul tema del consenso quando le relazioni di potere sono squilibrate. Sebbene non faccia riferimento ad uno specifico fatto reale, vari episodi simili a quello presentato nella pellicola affiorano alla mente. Nel 1914, Joseph Goldberger indusse la pellagra a dei prigionieri del Rankin State Prison Farm in cambio del perdono. Alcuni soggetti, che avevano partecipato volontariamente ai test, desideravano terminare prima la sperimentazione a causa degli effetti collaterali, ma furono costretti a continuare. Negli ’40, quattrocento detenuti neri furono inoculati con la malaria per sperimentare varie cure. Dal 1932 al 1972 alcuni scienziati negli Stati Uniti violarono una serie di regole etiche per analizzare il decorso della sifilide.
Al giorno d’oggi, nonostante lo sviluppo della bioetica e l’esistenza di ferree regole riguardo la sperimentazione umana, vengono ancora registrati vari casi di trial di dubbia etica. Al momento ogni ricerca scientifica deve avere un valore clinico e sociale e una validità scientifica, la selezione dei soggetti deve essere giusta e consistente con lo scopo della ricerca, i rischi devono essere minimizzati e i vantaggi massimizzati. Inoltre, per evitare conflitti di interesse riguardo l’eticità di una sperimentazione, questa deve essere revisionata da istituzioni indipendenti dall’organo che la propone. Infine, i partecipanti devono dare il loro consenso informato e devono essere trattati con rispetto, monitorando il loro benessere durante tutta la durata dello studio. Il controllo dei soggetti e i dati rilevati dei test di Steve sono altamente influenzati dalle nuove tecnologie.
È indubbio che il progresso tecnologico porterà con sé nuove sfide e aree di ricerca nella bioetica. Un sondaggio di GlobalData del 2022 ha rivelato che più del 70% delle società farmacologiche crede che lo sviluppo dei farmaci sarà il settore più influenzato dall’implementazione della tecnologia intelligente. In particolare, è stato anticipato il ruolo cruciale che i supercomputer avranno nel design e nel processo di scoperta di nuovi medicinali, come è stato già sperimentato nel Regno Unito con Cambridge-1, il supercomputer. Altrettanto promettente sembra l’uso di ultra-efficienti computer quantistici e dell’editing genetico con lo scopo di inviare messaggi direttamente ai genomi per correggere errori genetici.
“Nessun’altra istituzione penitenziaria nel mondo vanta una relazione di così tanto rispetto tra carceriere e carcerato. Non ci sono sbarre, non ci sono guardie e questo è solo possibile in una cultura di rispetto reciproco” dichiara Steve a Jeff sottolineando l’unicità di Spiderhead e l’ampia libertà concessa. In realtà, esperimenti farmacologici esclusi, quella di Abnesti è molto simile all’idea che sorregge il sistema penitenziario norvegese. La concezione di prigione è proprio uno dei più interessanti spunti di riflessione del film. In Norvegia, alla base di molte carceri vi è una visione di prigione non solo come luogo punitivo, ma riabilitativo. Il suo scopo è il reinserimento in società del detenuto. In carceri come quella di Halden o di Bastøy le finestre non possiedono sbarre, non esistono fili spinati, gli agenti si mischiano con i detenuti, i carcerati lavorano e hanno una sala comune a cui possono accedere liberamente. Intervistata da Justice Trends, Marienne Vollan, direttrice generale del sistema correttivo norvegese, ha sottolineato che il principio chiave è quello della normalità
“Questo principio ha almeno due aspetti: uno di questi è che anche se hai ricevuto una sentenza sei ancora un cittadino. La punizione riguarda la deprivazione o la limitazione della libertà, ma gli altri diritti che tu hai in quanto cittadino non ti sono tolti […] La seconda parte del principio è che la vita dovrebbe assomigliare il più possibile alla vita senza la sentenza.” Oltre ad essere più umano, questo approccio renderebbe più facile la transizione post carcere, equipaggiando i detenuti alla vita di tutti i giorni e riducendo di conseguenza le recidive. Le statistiche sembrano dare ragione al sistema norvegese che dal 70% di recidive negli anni 80 è passato ad un 20% calcolati facendo riferimento ai primi due anni di libertà, un dato decisamente inferiore al media europea e americana. Spiderhead è una pellicola dall’aspetto accattivante che, sebbene offra diversi spunti di riflessione interessanti, non osa abbastanza. Non si immerge nelle questioni etiche che affronta o nel disagio insito nel compiere scelte su quei temi. Un vero peccato dato il potenziale.