Sapete di vivere nel Tornado Digitale?

Come sono cambiate le nostre capacità cognitive e come possiamo metterle a frutto nel business.

Per milioni di anni il nostro percorso evolutivo è stato diretto da uno scopo: permetterci di vivere al meglio nell’ambiente che ci circonda. Lo stesso concetto vale per le scimmie, gli storni, i delfini e tutti gli altri esseri viventi complessi. Il nostro cervello, un organo che richiede un notevole dispendio di energia, è via via cresciuto in dimensione. Gli esseri umani differiscono dai loro parenti più prossimi, le scimmie antropomorfe, per 3 caratteristiche biologiche principali: aumento della dimensione del cervello, locomozione bipede ed eretta, rimodellamento dell’apparato mandibolare. Restando sul cervello, quello umano, con un volume medio di 1.230 centimetri cubi, è tre volte più grande di quello dei primati più sviluppati (385 nello scimpanzé, 405 nell’orangutan, 495 nel gorilla). Siamo ora dove siamo perché il nostro cervello è cresciuto a dismisura (anche se, leggendo certi post sui social in questi giorni non sembrerebbe, ma di questo ne riparleremo tra breve).

La crescita del nostro cervello, in primo luogo, ha alimentato la capacità di interagire in modo complesso con gli altri. Siamo migliorati – e non di poco – in diverse attitudini: nella lettura del linguaggio del corpo; nell’individuare eventuali minacce; nel trovare amici; nel tenere lontani gli estranei. Sappiamo individuare un bugiardo in una stanza (o almeno, crediamo di saperlo fare) e a molti prende la depressione quando si sta soli e non si hanno interazioni per troppo tempo.

Da ragazzi, ci facevano studiare le poesie a memoria. Per allenare il cervello, dicevano. Ci facevano fare i conti sulla carta o a memoria. Per allenare il cervello, dicevano. Ci facevano studiare il latino, che ad alcuni sembrava inutile in quanto si sarebbe potuto usare questo tempo in altro modo. Ma, di sicuro, studiare il latino fa allenare il cervello.

Ma, oggi, perché studiare a memoria l’Infinito del Leopardi? Basta mettere ‘Infinito Leopardi’ in Google e si ottengono 1.5 milioni di risultati in 0,5 secondi, con testi, analisi, parafrasi e commenti. E perché fare i conti a mano o a mente? Basta prendere Google o lo smartphone o una qualsiasi app calcolatrice gratuita (o quella da tavolo, se ancora la possedete, o il regolo, se sapete cosa è).

Ma se il nostro cervello non lo alleniamo più, rimpicciolirà? Diventeremo degli ‘orangutan digitali’?

All’improvviso eccoci nel ‘tornado digitale’

Nel passato, si andava a conversare al bar del paese, e, dopo il terzo bianco, cominciavano i discorsi più strampalati. Ci si trovava ‘estate inverno a stratracannare a stramaledir le donne, il tempo ed il governo’ (cit. Fabrizio De Andrè, La città vecchia, 1965). Fortunatamente queste idee (poche e confuse) le ascoltavano in pochi. Al massimo si frequentavano alcune decine di amici, superficialmente 100 o 200 conoscenti. Adesso (tramite i social, e, in senso più esteso, grazie al digitale), invece che con i pochi componenti del nostro circolo, ci relazioniamo potenzialmente con migliaia di persone. Invece di andare alla ricerca di strette di mano e feromoni, adesso ci impegniamo a individuare sfumature nei post e dettagli nelle videochiamate. Non c’è da stupirsi se questo, che è nuovo per noi, ci stressa. Nell’arco di una generazione, gli input e gli output sono stati ribaltati.

Eppure… Eppure, possiamo trovare un vero amico in Australia a migliaia di chilometri da qui. Possiamo imparare da un insegnante che sta in un altro Paese e si esprime in un’altra lingua. Possiamo osservare ed essere osservati in modi del tutto inattesi. La verità è che siamo in un nuovo vortice. Tutto ciò ci appare come un ‘tornado digitale’ perché non l’abbiamo ancora compreso appieno.

Non sappiamo ancora qual è la postura corretta da assumere davanti a una videocamera, o come interpretare le intenzioni degli altri. Non siamo sicuri sulle priorità da assegnare ai nuovi input. Siamo o diventiamo (o riconosciamo in altri) analfabeti digitali, gente che ascolta e non capisce, che legge e non interpreta, che ragiona (e reagisce e decide e, purtroppo, vota) di pancia e non di testa. Vediamo ragioni, minacce e complotti laddove non ce ne sono. Ignoriamo le minacce reali perché si presentano con gradualità, avvolte nei “Mi piace”, nelle emoji e nei meme. Esitiamo a impegnarci nelle cose importanti, e al contempo spendiamo troppo tempo nelle cose futili.

Ma è naturale che lo facciamo: si tratta, come detto, di un nuovo tornado. Le convenzioni culturali e le regole pratiche sono ancora in fase di formazione. E il carico cognitivo è forte.

Le possibilità del digitale

E quale è la risposta per molti? È definire una sorta di ‘carreggiata’, di routine. È come nelle strade medievali, dove le ruote dei carri battevano sempre sugli stessi solchi. Perché erano più facili da seguire.

Il digitale ci offre tante possibilità, forse troppe. Ci permette di raccogliere tantissime informazioni, magari eccessive per le nostre capacità ed energie. E non ne abbiamo voglia. Se ci siamo fatti un’idea (per esempio: Provax o Novax), poi la manteniamo perché è più facile che metterla in discussione ogni giorno, approfondendo con costanza e coerenza.

La routine regala quindi una pausa al nostro cervello. Il ritmo vertiginoso con il quale dispensiamo i “Mi piace”, cercando la novità più recente mentre vediamo sparire ciò che è vecchio (vecchio? Google non ha neanche 25 anni!), ci sfinisce. E allo stesso tempo ci eccita. Questo succede perché le porte restano aperte e si aprono più velocemente di quelle che si chiudono. Dobbiamo semplicemente essere abbastanza disciplinati da non procurarci un esaurimento. Dobbiamo trovare la forza di capire che siamo in un tornado digitale e usarlo con criterio. Di realizzare che si tratta di un nuovo strumento a disposizione. Ma come usare il ‘tornado’ a favore di aziende e manager?

Come utilizzare questa occasione

Nel tornado ci siamo tutti, persone e aziende, imprenditori e manager. Come usarlo allora a favore del business? È una domanda difficile ma proviamo qui a dare alcuni spunti:

1. Il primo passo consiste nel riconoscere che è un tornado. Che è una novità non da poco e che non siamo (ancora) bravi a gestirla.

2. Il secondo è che il tornado ci dà tante possibilità. Possiamo incrociare fonti, allargare orizzonti, approfondire trovando informazioni e spunti utili in pochi minuti. Trovate le informazioni, poi si può e si deve trovare, tempo, forza e concentrazione per approfondire.

3. Il terzo è che il tornado ci dà tante possibilità competitive. Come nell’evoluzione delle scimmie antropomorfe, all’inizio c’erano solo orangutan ma, dopo un po’, alcuni sono rimasti orangutan, altri si sono evoluti in homo sapiens. L’orangutan sa quello che gli serve e gli basta per vivere una vita immutata da generazioni. I sapiens potranno invece fare passi avanti o di lato. Gli orangutan non si porranno il problema: non sanno molto, solo il minimo indispensabile, quello che serve nel quotidiano. Credono di sapere anche se sanno molto poco. Al primo cambiamento di clima nella foresta saranno spazzati via. I sapiens, socraticamente, ‘sanno di non sapere’ e si pongono il problema, indagano, studiano, capiscono, vanno avanti sfruttando le nuove possibilità.

Il nostro cervello (spero e credo) non si rimpicciolirà. Forse non sarà più così importante, seppur piacevole per chi lo apprezza, saper recitare a memoria L’Infinito del Leopardi. Forse non sarà così importante avere già in mente tutte le risposte, però sarà fondamentale avere un metodo, saper trovare e riconoscere le risposte e farle proprie.

Saranno quindi altre le capacità cognitive che i nuovi vincenti, aziende e manager, sapranno sviluppare: vedere oltre, leggere tra le (nuove) righe, sfruttare i (nuovi) strumenti. Capire il vecchio e sfruttare il nuovo per progettare il futuro.

Vi ho dato alcuni spunti. Avete altre idee al riguardo? Simili o diverse? Ne vogliamo parlare?



Primo Bonacina

Bergamasco di nascita e milanese per professione, Primo Bonacina si occupa d’informatica dal 1980, primo in ordine di laurea tra gli studenti (1984) della neocostituita Facoltà di Informatica di Milano. Dal 1984 ha operato con ruoli di responsabilità crescente per aziende multinazionali dell'IT. Le più note: Olivetti, 3Com (ora HPE), Magirus/Tech Dat...

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