Timer: l‘amore al tempo dei cronometri e delle dating app

Esiste l’anima gemella? Quando è la tecnologia a decidere.

Negozio completamente vetrato, tavoli in legno, varie postazioni attrezzate con computer, e impiegati sorridenti: quello che potrebbe sembrare un Apple Store è in realtà un centro di installazione di Timer, apparecchio rivoluzionario che, una volta installato nel polso del cliente, gli indica quanto tempo dovrà trascorrere prima di incontrare la sua anima gemella, segnalando con un bip la presenza di persona. Sono queste le premesse di TiMER, film del 2009 diretto da Jac Schaeffer e attualmente disponibile su Netflix. La commedia dal tocco fantascientifico è ambientata nella Los Angeles dei giorni nostri, il cui unico elemento sci-fi è la presenza di questa innovativa tecnologia che, diffusa dagli anni ’90, ha conquistato pian piano buona parte della popolazione, trasformandone usi e costumi. Quello di TiMER è un mondo in cui i divorzi sono drasticamente ridotti e in cui i timori e le ansie dovute dal prendere una decisione sentimentalmente sbagliata sono completamente annullati.

La trama

L’istallazione dell’apparecchio, legalmente possibile dai quattordici anni in su, diventa un decisivo rito di passaggio per ogni individuo, un momento celebrato insieme a tutta la famiglia. L’unica pecca? Per conoscere il tempo necessario a incontrare la propria anima gemella è indispensabile che anche quest’ultima possegga un Timer. Ed è così che Oona (Emma Caulfield), giunta ai trent’anni, guardando al suo polso non vede scadenza. Alla disperata ricerca di risposte, frequenta uomini sprovvisti di Timer per convincerli ad installarne uno, in un processo di eliminazione in cui la certezza data dalla veridicità dell’apparecchio diventa più importante dei sentimenti provati. La sua vita cambia quando decide di buttarsi in una relazione con un ragazzo conosciuto per caso (John Patrick Amedori), seguendo la filosofia della sorella Steph (Michelle Borth), decisa a divertirsi prima dell’incontro dell’uomo della sua vita, previsto a ben 43 anni.

Il mondo di TiMER è un mondo più semplice, un mondo in cui le persone hanno riposto completamente la loro fede nella tecnologia che ha eliminato quell’alone di mistero e fascino che circonda l’amore. I personaggi guardano indietro a un periodo senza Timer e tirano un sospiro di sollievo. Si sono lasciati alle spalle l’imprevedibilità e il ‘fallimento‘, dimenticandosi che è solo attraverso il suo superamento che si può crescere. Abbracciano con gioia questa nuova tecnologia senza rendersi conto delle sue implicazioni ovvero che il suo successo significa ammettere che il nostro destino è stato già scritto e che qualunque nostra azione ci poterà a una certa ora in un certo luogo per incontrare una certa persona.

Una commedia romantica con risvolti sociali

TiMER di sci-fi possiede solo l’oggetto del titolo. Al suo cuore è un leggero passatempo, una pellicola realizzata per gli amanti delle commedie romantiche alla ricerca di qualcosa di leggermente più inedito. Ma se l’idea del Timer è di per sé innovativa, non lo è né la struttura del racconto, né la sua esecuzione. Infatti, allo stile di vita apparentemente più facile rappresentato nel film, corrisponde un’altrettanto semplice regia che segue i personaggi senza troppa originalità, ma senza infastidire. TiMER gioca con l’amore, il tempo e la tecnologia come un cupido capriccioso, ma si limita a sfiorare le tematiche legate a questi temi come la ridefinizione delle relazioni sociali, e il modo in cui questa nuova modalità di connessione sta cambiando i paradigmi della vita quotidiana e sentimentale delle persone.

In che modo le interfacce digitali influenzano la nostra intimità? È l’amore che altera la maniera in cui la tecnologia è creata e usata o viceversa? Cambiando i mezzi e il contesto, si trasforma anche la natura dell’amore o quest’ultima è imperturbabile a ciò che la circonda? Le riflessioni che il film potrebbe stimolare si applicano bene anche ai cambiamenti a cui abbiamo assistito negli ultimi due decenni e che hanno contribuito alla prolificazione di articoli e ricerche da parte di studiosi, per ragioni sia accademiche che economiche.

Un approccio antropologico…

Emma Caulfield (a sinistra) e Michelle Borth
nei panni di Oona e Steph

L’antropologa Helen Fisher, ad esempio, ha studiato il cervello umano in connessione all’amore per il sito d’incontri match.com. La tecnologia ha cambiato l’amore? Secondo Fisher la risposta è no. In uno dei suoi discorsi l’antropologa ha affermato che “abbiamo sviluppato tre differenti sistemi cerebrali nell’accoppiarci e riprodurci […], tre sistemi cerebrali che orchestrano la nostra vita sessuale, sentimentale e familiare e si trovano ben al di sotto della corteccia e del sistema limbico, dove avvertiamo e generiamo le emozioni. Giacciono nelle parti più primitive del cervello, connesse a energia, concentrazione, desiderio, motivazione, volontà e impulso. In questo caso, è l’impulso a vincere il più grande premio della vita: un partner per accoppiarci. Questi sistemi si sono sviluppati più di 4,4 milioni di anni fa tra i nostri avi, e non cambieranno se scorri a sinistra o a destra su Tinder. La tecnologia non cambierà neanche le nostre scelte in amore. Studio la biologia della personalità, e sono arrivata a credere che abbiamo sviluppato quattro stili di pensiero e comportamento, collegati a dopamina, serotonina, testosterone ed estrogeni”.

In base a questionari creati ad hoc dalla ricercatrice, diffusi in quaranta nazioni a quattordici milioni di persone, sembrerebbe che tra questi quattro tratti esistano dei modelli naturali di scelte di accoppiamento che, secondo la Fisher, non saranno trasformati dalla tecnologia, ma tutt’al più facilitati.

…e uno storico

Per la storica Moira Weigel, autrice del libro ‘Labor of Love: The Invention of Dating’, frequentare qualcuno è sempre stato impegnativo. Quello che la tecnologia al giorno d’oggi avrebbe cambiato è il tipo di difficoltà. “Ciò che trovo ironico è che quello che è più complesso al momento non riguarda l’interazione che hai con una persona, ma il processo di selezione e di autorappresentazione”. A differenza del passato, quello che si starebbe sviluppando sarebbe un ‘amore lento’, una nuova forma di corteggiamento caratterizzata dal prolungamento della fase del pre-impegno dovuta a quello che la Fisher e altri studiosi definiscono il ‘paradosso della scelta’. Nel 2000 ricercatori della Columbia University realizzarono un’esperimento: posarono sei barattoli di marmellata da provare su un tavolo e ventiquattro sul successivo. Il 20% in più dei clienti che parteciparono al sondaggio si riversarono sul secondo tavolo, ma solo il 3% di questi comprava un barattolo contro il 30% del primo tavolo. “Sebbene una maggiore possibilità di scelta possa attrarre più consumatori in realtà questa riduce la loro conseguente motivazione a comprare il prodotto”. E lo stesso avviene per quanto riguarda le nostre scelte sentimentali. “Dalla lettura di moltissimi dati, sembra che possiamo considerare tra cinque e nove alternative – ha spiegato Fisher – dopodiché raggiungiamo ciò che gli studiosi chiamano sovraccarico cognitivo, e non scegliamo più niente”.

L’elevato numero di utenti iscritti alle varie piattaforme di dating e la facilità del primo contatto sembrerebbero essere caratteristiche controproducenti nel lungo periodo. Infatti, la seconda conseguenza del paradosso della scelta, esposto nell’omonimo libro dello psicologo Barry Schwartz, sarebbe la Fomo (Fear Of Missing Out), ovvero la paura del perdersi qualcosa di migliore di quello che si ha, dovuta all’abbondanza della scelta che, come un cane che si morde la coda, ci impedisce di compierne alcuna. L’investimento emotivo, soprattutto nel primo periodo, si riduce nella convinzione che se l’incontro non dovesse funzionare il prossimo appuntamento è a uno ‘swipe’ di distanza; se la persona non ci convince del tutto, ci sono mille alternative da esplorare. Secondo la terapeuta Esther Perel tutto ciò porta a una ambiguità stabile: “hai paura di restare solo, ma non sei davvero pronto a impegnarti e costruire un’intimità. È una serie di tattiche che prolungano l’incertezza di una relazione, ma anche l’incertezza della rottura”.

La risposta della tecnologia

La tecnologia è la risposta al soddisfacimento dei nostri bisogni. L’evoluzione delle dating app presenti sul mercato rispecchia il tentativo di accontentare le necessità degli utenti, di rendere la ricerca del partner il più facile e precisa possibile attraverso il miglioramento degli algoritmi deputati a parziale filtro. Ma se sono proprio i punti apparentemente di forza dell’app (ampia scelta e semplicità nell’approccio) a generare risultati controproducenti per chi è alla ricerca di una relazione stabile, cosa possiamo fare? Per alcuni la soluzione risiede in un ulteriore potenziamento degli algoritmi alla base della selezione, magari proponendo, come Once, solo un partner al giorno. Per altri, l’introduzione di una quota d’accesso migliorerebbe la situazione, limitando l’ammissione agli utenti veramente interessati allo sviluppo di una relazione.

Jac Schaeffer ci offre la sua soluzione fantascientifica e ci trascina in un mondo ‘perfetto’, il cui il paradosso della scelta non esiste perché ogni altra opzione è abolita. Dovrebbe essere il paradiso, eppure in fondo non lo è.


Serena B. Ritondale

Serena B. Ritondale nasce a Roma nel 1991. Comincia la sua carriera da redattrice scrivendo per alcune testate online di letteratura e cinema, tra cui Vertigo24 dove ricopre il ruolo di Vice Caporedattore. Si laurea in Sociologia all’Università Sapienza di Roma e successivamente si diploma all’Istituto Rossellini come Videomaker per cinema, tv e web....

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