Sprint per il digital trust
Nelle situazioni di emergenza come quelle degli ultimi mesi le aziende sono obbligate a ripensare i propri processi sfruttando le opportunità del digitale. Ecco dove e come InfoCert interviene con i suoi strumenti e servizi.
È ormai evidente come la pandemia da Covid-19 abbia costretto le organizzazioni, pubbliche e private, così come i singoli cittadini, a fare i conti con il digitale inteso come unica via per mantenere la propria operatività lavorativa e non solo. Se, prima del lockdown, il cambio di mentalità e di processi poteva continuare a svilupparsi nella sua lenta gradualità, al di là degli obblighi normativi puntuali, la pandemia ha forzato a cambiare repentinamente modelli operativi e abitudini quotidiane per milioni di aziende e persone. “Nel caso degli strumenti di digital trust – che abilitano la non ripudiabilità delle transazioni elettroniche garantendone il valore legale e permettendo un risparmio di costi e tempi, generando di conseguenza vantaggi per tutta la catena del valore coinvolta – abbiamo notato una decisa accelerazione della loro adozione. Questa ha interessato non solo i professionisti, come commercialisti e avvocati che, ad esempio, già lavoravano con il processo telematico, oppure realtà bancarie, che già consentivano di firmare digitalmente gli atti e le domande o, ancora, le grandi aziende del credito al consumo”, spiega Danilo Cattaneo, Ceo di InfoCert, società di Tinexta Group, focalizzata su prodotti e soluzioni dedicati appunto al digital trust. “Il dato rilevante è che con l’emergenza di questi mesi tante aziende che non l’avevano mai fatto prima, comprese quelle piccole e medie, e gli stessi i cittadini hanno dovuto per forza di cose adottare soluzioni digitali per lavorare da remoto in smart working, vendere e comprare a distanza beni anche di prima necessità e finalizzare contratti, che possono coinvolgere due o più parti. Con la possibilità di confrontarsi in videoconferenza e poi firmare contestualmente a distanza. È da questi nuovi utenti che abbiamo registrato un netto incremento nella domanda per i nostri strumenti”.
Un interesse sempre in crescita
La storia di InfoCert parte 20 anni fa: oggi la società opera anche a livello internazionale con una strategia di espansione accelerata dall’entrata in vigore nel 2016 del Regolamento eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature – Regulation EU 910/2014) e la conseguente possibilità di usare i medesimi servizi di digital trust nei Paesi dell’Unione Europea.
“Questa è stata una tappa fondamentale in un contesto che ci ha visti crescere costantemente in modo organico così come per acquisizioni – ad esempio di Camerfirma in Spagna, LuxTrust in Lussemburgo e Authada in Germania – e dove il concetto di identità digitale certa diventa un tassello alla base del quotidiano di tutti. In Italia lo abbiamo direttamente sperimentato con SPID, il sistema pubblico di identità digitale, del quale siamo tra i gestori accreditati. Non si può negare che dalla sua introduzione, avvenuta alla fine del 2015, la sua diffusione sia stata molto lenta: da un lato per la carenza dei servizi offerti, dall’altra per una solo parziale percezione di utilità da parte dei cittadini. Improvvisamente, con il recente lockdown, l’identità digitale è diventata invece basilare per poter richiedere, ad esempio, i bonus previsti dal Governo. E in pochi mesi il numero di identità digitali è raddoppiato”, prosegue Cattaneo. Un’opportunità in più per chi si trova, ad esempio, a vendere prodotti o servizi da remoto o per contrassegno e vuole avere certezza del proprio interlocutore per evitare spedizioni a vuoto, oppure per verificare le identità nell’ambito di un trasferimento telematico di capitali e di tutte quelle transazioni che il digitale consente necessitando però di più fattori di autenticazione e verifica.
“Oggi, come InfoCert, abilitiamo oltre un milione di transazioni al giorno e posso senz’altro affermare che il tasso di incidenza di tentate frodi è assolutamente inferiore rispetto a quanto avviene con i processi cartacei, proprio grazie al fatto che ogni passaggio è verificato e tracciato”, afferma Cattaneo, fornendo poi un significativo dato ulteriore. “Se, grazie alla disponibilità di effettuare transazioni da remoto con valore legale si sono raggiunti clienti remoti altrimenti difficilmente raggiungibili, si è soprattutto verificata una estensione degli orari in cui tali operazioni venivano effettuate: per il credito al consumo ci sono picchi il sabato pomeriggio e la domenica, mentre i promotori finanziari sono risultati molto attivi dopo cena. Inoltre, le banche ci hanno chiesto di non bloccare le transazioni in fasce orarie storicamente anomale, non tenendo inoltre conto del fuso orario di riferimento”.
Dalle riunioni, alle assemblee, al back to work
Come abbiamo visto, l’applicazione del digital trust si inserisce in svariati processi che oggi, nell’emergenza, devono necessariamente compiere un salto di qualità e trasformarsi. Collaborazione a distanza compresa. “Ci si è resi conto non solo che non ha senso spostarsi per svolgere riunioni che magari possono durare anche solo pochi minuti, ma anche che è possibile, a distanza, procedere con votazioni e autorizzazioni che richiedono la certezza dell’identità di chi ha votato. Ecco che è possibile affidarsi ad app progettate per consentire tutto questo, con tracciamento attraverso blockchain, e che si basano sulla cosiddetta Self-Sovereign Identity (SSI), con votazione via smartphone anziché in persona. Tale strumento registra le dichiarazioni di voto dei partecipanti, a distanza, come può avvenire in assemblee numerose, risolvendo oltre al problema delle presenze anche quello di eventuali deleghe. In generale per noi la blockchain è un’ottima tecnologia anche se per ora solo parzialmente normata, con vantaggi ma anche costi da valutare e che stiamo applicando a vari ambiti come quello della tracciatura della filiera agroalimentare per garantire la provenienza di una determinata materia prima”.
La cosiddetta nuova normalità a cui stiamo andando incontro richiede alle stesse organizzazioni un nuovo grado di attenzione relativamente alla salute di coloro che frequentano gli uffici fisici e i luoghi di lavoro in generale. “Tra le funzionalità che oggi il nostro digital trust offre c’è quella dell’auto dichiarazione per entrare negli uffici. Esiste una app ‘back to work’ alternativa al modello cartaceo che, partendo dalla certezza dell’identità di un dipendente collegata al suo smartphone, prevede l’inquadramento di un QR per il completamento dell’autodichiarazione in modo anonimo, riservato e conforme al GDPR”, spiega Cattaneo.
Non solo human to human
Identità digitale non significa solo identità delle persone, ma anche delle cose in uno scenario in cui, nell’era dell’IoT e dei bot, molte transazioni sono decise e approvate da agenti software, e questo accade nel mondo finanziario così come in quello delle utility. “Abbiamo sviluppato un progetto con un grande operatore del comparto energy che prevede l’assegnazione a un oggetto, in questo caso lo smart meter, dell’equivalente dell’identità digitale di una persona. In tal modo si ha la piena tracciabilità dei dati che viaggiano dal contatore al concentratore fino alla rete, e viceversa, per arrivare a decisioni automatizzate importanti come l’autoesclusione di edifici in caso di sovraccarico. Il tutto garantendo la non ripudiabilità dei dati, sulla base dei quali è stata è presa tale decisione. Non solo si ha la certezza di quanto avvenuto ma anche una estrema protezione garantita da sistemi di crittografia digitale finora inviolati e che vengono costantemente aggiornati. E un discorso analogo si può applicare ai sistemi che si affidano all’intelligenza artificiale”, aggiunge Cattaneo, riferendosi alla paternità delle decisioni prese dagli agenti software, con certificazione che non abbiano subito modifiche, come potrebbe accadere nel caso dei veicoli a guida autonoma e i relativi strumenti di rilevazione e azione basati sui sensori.
Accelerazione della trasformazione
Entrando poi nel dettaglio delle prospettive da qui ai prossimi mesi per InfoCert e i diversi mercati in cui le soluzioni di digital trust possono dare un contributo concreto, Cattaneo sottolinea che “nel primo semestre del 2020, la crescita per noi è stata molto significativa sia considerata anno su anno che rispetto agli obiettivi che ci eravamo dati. Questo per le richieste di clienti esistenti che hanno dovuto trasformare i propri processi interni secondo le logiche dello smart working, ma anche di quelli nuovi che hanno avuto la necessità di adottare rapidamente strumenti di lavoro in remoto, con enormi picchi di richieste su questo versante. E ancora, per riprendere il tema del credito al consumo, il rilascio della nuova versione di un noto smartphone ci richiederà di gestire un picco di richieste in poche ore, anche se quest’anno ci saranno meno code nei negozi fisici e più richieste sui negozi online. Ecco che la nostra continua attività di ricerca e sviluppo va incontro a queste nuove esigenze, sempre rimanendo in linea con quanto consentito o imposto dalle normative”. Proprio sul fronte ricerca e sviluppo InfoCert prosegue quindi il suo lavoro interno, così come la collaborazione con Università ed enti di ricerca per portare avanti e diffondere l’impegno sui diversi versanti del digital trust, che richiede una costante e concreta attenzione e un’attività di integrazione in cui il cloud computing diventa elemento centrale dell’infrastruttura su cui poggiano.
“Una delle nostre caratteristiche è quella di integrare i sistemi che sviluppiamo con quelli dei clienti, ad esempio, bancari. È chiaro che, vista la criticità degli ambienti, sono richiesti alcuni tempi tecnici che nel lockdown dovevano accorciarsi passando da mesi a pochi giorni. Un obiettivo impossibile, visti tutti i sistemi coinvolti. Grazie all’erogazione cloud dei servizi abbiamo tuttavia potuto programmare le nostre interfacce in modo tale che, per alcuni processi come quelli di onboarding dei nuovi clienti, fosse possibile abilitare lo scambio di documenti, la dotazione di una firma autenticata forte al cliente e il passaggio attraverso noi come parte terza garante dell’identità”, rivela Cattaneo. Come abbiamo visto in apertura l’emergenza Covid-19 ha, in breve, portato a un’evoluzione in parte forzata dei comportamenti di aziende e singoli individui. “Il digital trust in definitiva sta dimostrando di produrre dei ritorni molto importanti ma in certi contesti è ancora poco conosciuto, e anche i decisori aziendali non sempre ne percepiscono le potenzialità, adeguandosi solo se obbligati dalle normative. Ecco che sarebbe utile un’azione da parte di associazioni di categoria perché lavorino soprattutto sulle PMI a livello di consapevolezza. I vantaggi sono chiari, ma il rischio è di non riuscire a coglierli”, conclude Cattaneo.