La disruption tecnologica del mondo Energy
Intelligenza Artificiale, Internet of Things, big data management, team di data scientist. Nel mondo dell’energia sostenibile si parla digitale. Vale per le multi utility ma anche per consumatori e prosumer.
L’analisi dei dati energetici è fondamentale per essere più efficienti e fornire servizi migliori. La quarta rivoluzione industriale, meglio conosciuta come era 4.0 o rivoluzione digitale, definisce nuove modalità di interazione tra macchine, uomo e dati, grazie alla sempre più ampia disponibilità di informazioni digitali e alla capacità di elaborarle.
I player del mondo energy, più di altri, dispongono di una grande quantità di dati, disponibili per l’analisi e dunque per migliorare e automatizzare processi gestionali, operativi e decisionali. Che si tratti di dati dinamici, raccolti sul campo tramite la sensoristica e gli operatori, o di dati statici, disponibili in banche dati, maggiore sarà la capacità di raccoglierli con accuratezza, di analizzarli e di utilizzarli, maggiore sarà l’impatto dirompente delle tecnologie.
Se questo vale per le società che producono e distribuiscono energia, come sottolinea lo studio della Luiss Business School intitolato ‘Traiettorie evolutive e competenze per le imprese energy’, vale anche per le imprese che l’energia la consumano e in alcuni casi la autoproducono ritrovandosi nella disponibilità di una grande quantità di dati propri.
La disruption tecnologica dell’Energy
L’analisi di contesto contenuta nello studio della Luiss, realizzato in collaborazione con Manpower per individuare le nuove professionalità richieste dal mercato, coinvolge più o meno direttamente tutte le imprese in cui l’energia è una voce importante, anche sul fronte dell’utenza alla luce delle evoluzioni in ottica prosumer.
Il settore energy registra un elevato livello di disruption tecnologica: entro il 2025, la digitalizzazione consentirà di risparmiare 625 milioni di tonnellate di emissioni CO2 a livello globale. Inoltre, ulteriori disruption sono previste nel breve termine, poiché le infrastrutture divengono più dinamiche, responsive e interconnesse, a vantaggio anche dei modelli distribuiti e basati sulle comunità di fornitura (si parla sempre più spesso di SEU, Sistemi Energetici di Utenza). I consumatori sono più coinvolti, e questo comporta la necessità di un approccio di omni-canalità: le aziende garantiscono al cliente un’esperienza integrata e continua, attraverso tutti i touch-point.
Nuovi modelli di business
Le interviste raccolte nello studio, rivolte a un panel di 11 aziende italiane del settore energy, evidenziano che sono in atto radicali trasformazioni nei business model, con offerte sempre più diversificate e una transizione verso un’economia di servizi. Stiamo già assistendo ai ‘new downstream’: alla luce della crescente competizione e della conseguente riduzione dei margini sulle commodity, diversi player nelle utility stanno modificando l’approccio alla customer base, fornendo, al di là della commodity, nuovi business e servizi, quali ad esempio la creazione di impianti fotovoltaici, interventi di efficienza energetica, impianti termici, ecc.
La trasformazione in atto non riguarda solo i consumatori finali e il B2C, ma anche il B2B e il B2T nel rapporto con i territori; ne sono esempio città sempre più smart, che attireranno crescenti investimenti, non solo nelle smart grid, per realizzare interconnessioni tra utenti e infrastrutture, ma anche negli smart building e smart lighting. L’approccio di trasformazione della mobilità è in grado di quadruplicare il valore generato: le auto elettriche e la mobilità smart e shared cresceranno in maniera sostanziale. Sul fronte dei trasporti ad esempio, solo negli Stati Uniti, il valore potenziale legato allo sviluppo di veicoli elettrici e veicoli autonomi ad uso condiviso sarà pari a circa 430 miliardi di dollari entro il 2030.
Sostenibilità elemento chiave
La sostenibilità sarà un elemento chiave, con obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 che richiederanno una vera rottura con i trend del passato. Dal 2015, le 195 nazioni che hanno siglato l’Accordo di Parigi, universale e vincolante sul clima mondiale, lavorano per limitare l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Eppure, dopo tre anni, le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) legate all’energia sono aumentate dell’1,6% (2017) e i primi dati suggeriscono una crescita continua nel 2018, lontano da una traiettoria coerente con gli obiettivi climatici. Gli stati membri dell’Unione Europea si sono impegnati collettivamente a ridurre le emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020 e del 40% entro il 2030. Cosa significa? Che al fine di limitare il riscaldamento globale a 2° C entro il 2040, dovranno essere investiti circa 900 miliardi di dollari all’anno in impianti di energia rinnovabile e relative reti di trasmissione e distribuzione e 300 miliardi di dollari all’anno in energia pulita.
Il contesto mondiale
Entro il 2050, 2,5 miliardi di persone usciranno dallo stato di povertà, soprattutto alla luce della crescita dei paesi emergenti. Sul fronte dell’energia ciò porterà ad una crescita di circa 1/3 della domanda globale, specialmente in economie a rapida crescita e urbanizzazione, come Cina e India. Questo aumento sarebbe circa doppio se non fosse per l’effetto dell’efficienza energetica e della sostenibilità. Si tratterà quindi di un aumento pervasivo, che impatterà sia sugli aspetti industriali che sui trasporti.
Il settore power, con la crescente elettrificazione, assorbirà il 70% dell’aumento dell’energia primaria. È in atto una modifica del mix delle fonti, che per il 2040 saranno molto diversificate, approssimabile con la regola del 25%: un quarto carbone, un quarto petrolio, un quarto gas e il restante 25% suddiviso tra nucleare e rinnovabili.
L’uso del carbone è aumentato nel 2017 dopo due anni di declino, ma le decisioni di investimento finali nelle nuove centrali elettriche a carbone sono state ben al di sotto del livello osservato negli ultimi anni e il flusso di nuovi progetti rallenterà dopo il 2020. Tuttavia, è ancora troppo presto per considerare il carbone fuori dal mix energetico globale: l’età media di una centrale a carbone in Asia è inferiore a 15 anni, rispetto a circa 40 anni nelle economie avanzate. Le fonti fossili risentono di rischi di accessibilità e affidabilità: mentre i costi di solare, fotovoltaico ed eolico continuano a scendere, i prezzi del petrolio nel 2018 (e per la prima volta dopo 4 anni) sono saliti sopra 80 dollari/barile. Saranno proprio le rinnovabili, che già attirano 2/3 degli investimenti mondiali, a coprire circa il 40% dell’aumento dell’energia primaria. Anche se, pur offrendo basse emissioni a costi contenuti, creano ulteriori requisiti per il funzionamento affidabile dei sistemi di alimentazione.
Inversione geografica
Si evidenzia anche uno shift verso un mercato globale del gas più interconnesso, grazie alla diffusione del gas naturale liquefatto (GNL). La shale revolution, infatti, continua a scuotere la fornitura di petrolio e gas, consentendo agli Stati Uniti di staccarsi dal resto del settore come il più grande produttore mondiale di petrolio e gas, creando pressione sui tradizionali esportatori. Il gas naturale supererà il carbone nel 2030 per diventare il secondo combustibile più grande nel mix energetico globale. Sarà l’industria a trainare questo consumo, ma le infrastrutture del gas continueranno a svolgere un ruolo vitale per riscaldamento e approvvigionamenti elettrici.
È in atto una trasformazione nel fulcro geografico del settore: nel 2000, l’Europa e il Nord America rappresentavano oltre il 40% della domanda energetica globale, mentre le economie in via di sviluppo in Asia circa il 20%; le aziende Europee erano prime al mondo per capacità installata. Entro il 2040 la situazione sarà invertita, e già ora sei delle prime dieci aziende sono utility cinesi.
Intelligenza artificiale, analytics e IoT
Indubbiamente l’Energy sta accelerando la propria trasformazione con innovazioni radicali abilitate da tecnologie disruptive quali l’intelligenza artificiale, l’advanced analytics e l’IoT. Algoritmi di machine learning, uniti alle competenze tecniche nel settore energetico e alla conoscenza dei cicli produttivi dei principali settori industriali permettono di analizzare i dati raccolti da misuratori situati presso gli impianti, confrontarli con dati storici e/o KPI specifici, per evidenziare eventuali anomalie ed associare a queste inefficienze tecniche e perdite economiche. Più sono complessi gli impianti maggiori sono i parametri da monitorare, che non si devono limitare ai consumi energetici ma anche a tutte le variabili di processo, quali ad esempio variazioni di pressione e/o di temperatura e parametri specifici che diano indicazioni sulla produttività aziendale.
In particolare, il recente sviluppo di Internet of Things (IoT) ha offerto modi rivoluzionari per sviluppare proposte di valore innovative basate su prodotti e servizi. Un tema non solo sensibile per le multi-utility ma per tutti i player, non solo in termini di sviluppo di servizi di mobilità sostenibile, ma anche e soprattutto sulla dimensione di smart city, su cui molti stanno investendo per servizi e infrastrutture.
Spazio ai data analyst
Secondo il report Manpower Group-Luiss Business School sono social intelligence, circular economy e social media managing le competenze su cui le aziende dell’energy già puntano di più, comunicazione digitale e innovazione le soft skill più richieste. Data scientist e data analyst i professionisti più ricercati. Tra le competenze tecniche risaltano invece specialisti in analisi e gestione dei dati, intelligenza artificiale, computational thinking, competenze tecniche-economiche trasversali, market intelligence.
L’attenzione, secondo il report, è sulla transdisciplinarità integrata alla flessibilità, divenuta chiave per organizzazioni che puntano alla costruzione di team agili e di contesti dinamici.