In Generali un laboratorio per l’intelligenza artificiale

Il Gruppo assicurativo nel 2016 ha istituito un nucleo di competenze per avviare sperimentazioni di AI. Oltre 50 i progetti andati in produzione.

“Non è la tecnologia a essere disruptive, ma la sua adozione”. Alberto Branchesi, Head of Data & Digital platforms di Generali, ha portato questa visione nel centro di competenze che nel 2016 il Gruppo assicurativo ha voluto istituire per valorizzare il proprio patrimonio informativo. Un percorso avviato e sostenuto dal top management, che è stato percepito e valorizzato anche dai manager locali della società, in un’ottica di condivisione delle sperimentazioni che il team guidato da Branchesi realizza ormai da tre anni con una significativa focalizzazione sull’intelligenza artificiale. “Un lavoro frutto di un importante investimento culturale realizzato dalla nostra Compagnia, per sfruttare al meglio le potenzialità del cloud, dei nuovi linguaggi di programmazione e delle piattaforme”, ci ha spiegato Branchesi che abbiamo incontrato per fare il punto sugli oltre 50 progetti di robotic process automation e advanced analytics messi in produzione dal centro e per capire in che modo Generali intenda sfruttare le potenzialità dell’AI nel prossimo futuro.

Partiamo dall’inizio: che ruolo ha il team Data & Digital platforms in Generali?

Alberto Branchesi, Head of Data & Digital platforms di Generali

Il team è nato dalla volontà del nostro Gruppo che tre anni fa ha deciso di costituire il primo nucleo di competenze dedicato all’uso di advanced analytics, all’artificial intelligence e big data con l’obiettivo di fare evolvere le competenze di data analytics tramite un team con competenze sull’advanced analytics e metodologie progettuali innovative. L’intento era quello di iniziare a sfruttare gli aspetti computazionali offerti da piattaforme che nascevano in quel periodo, soprattutto in ambito universitario, e utilizzare servizi forniti da piattaforme come Microsoft, Google, AWS e IBM. Già in un’ottica di cloud, quindi. In questi tre anni abbiamo operato con una logica di sperimentazione, costruendo un vero e proprio laboratorio interno.

Per farlo, abbiamo seguito due direttrici chiave: le tecnologie e le persone. Nel 2016, quando abbiamo avviato questo percorso, Generali ha deciso infatti di assumere i primi data scientist formando un nucleo di venti profili con competenze molto variegate.

Assunzioni in buona parte avvenute internamente, con molte figure individuate nelle società del Gruppo e provenienti da esperienze eterogenee: non solo IT, ma anche di core business, per esempio claim management e attuari. In questi tre anni il laboratorio costituito ha mantenuto questa impostazione, preservando la dinamicità necessaria per poter elaborare dati di diversa natura e analizzarne i risultati.

Quali sono gli ambiti in cui si sono concentrati i vostri progetti?

Il tema dell’intelligence automation per noi è centrale ed è il risultato di una convergenza di soluzioni: la robotic process automation, l’advanced analytics, la data governance e i primi servizi di intelligenza artificiale.

Il nostro impegno è su diverse progettualità che fanno leva sia su strumenti di mercato sia sulle librerie open source, per analizzare testi e immagini, per la valutazione dei modelli di scoring, per lo studio di claim alla ricerca di potenziali frodi.

Si tratta di sperimentazioni e sviluppi che poi portano a progettualità che vengono messe in esercizio all’interno delle nostre legal entity.

Qual è la figura di Generali cui risponde il team Data & Digital platforms e cosa si aspetta dalle vostre sperimentazioni?

Il team risponde direttamente al General Manager, Frédéric de Courtois, che nutre anche una grande passione personale verso queste tematiche.

Sono due le tipologie di risultati che il top management si aspetta. La prima è che siano sviluppate sperimentazioni che conducano a un beneficio in termini di business. La seconda, di pari importanza oggi in Generali, è promuovere una adozione internazionale delle soluzioni: se una progettualità porta risultati positivi in una determinata realtà, è fondamentale che sia distribuita e messa a fattor comune come best practice da utilizzare anche nelle altre entità del Gruppo.

In ambito robotic process automation avete avviato anche delle esperienze di chatbot?

Abbiamo realizzato numerose applicazioni di automazione di processo nel Gruppo, in alcuni casi integrando anche motori conversazionali. Nello specifico, l’esperienza più recente è il rilascio di una chatbot che permette a tutti i dipendenti di Generali, quasi 71mila persone, di avere informazioni di dettaglio sui contenuti del nuovo piano strategico lanciato dal Gruppo per il prossimo triennio.

È una delle esperienze progettuali che il mio team ha guidato e che adesso cercheremo di estendere anche su altri scenari.

Sempre in ambito robotic process automation, abbiamo integrato specifici algoritmi, per esempio per estrarre campi significativi dai testi, per essere sempre più rilevanti per il business: questo percorso è supportato da un framework di valutazione della maturità dei processi che abbiamo definito internamente e che stiamo applicando in diverse realtà. Spesso è supportato da una logica di sperimentazione e co-investimento insieme ai colleghi che operano nel Gruppo, con l’obiettivo di accelerare le progettualità locali.

Sul fronte tecnologico, come operate per scegliere i vostri fornitori?

Generali non si avvale di un unico fornitore, ma ne individua diversi. Sperimentazione e attenta analisi dei fattori tecnici ed economici guidano le mie scelte: ci basiamo sempre sulla sperimentazione e su una attenta analisi dei fattori tecnici ed economici.

In un recente progetto relativo all’analisi delle immagini e dei testi, abbiamo realizzato un benchmark tra le nostre capacità di coding interno, le offerte di servizio dei big vendor e quelle di alcuni player di nicchia, in modo tale da costruire una mappa che ci permettesse di dare la risposta giusta al singolo problema.

Un lavoro importante che non realizziamo da soli, ma sempre in sinergia con i colleghi che negli anni hanno preso parte alle progettualità. L’obiettivo è quello di facilitare al massimo la condivisione e fare in modo che ciò che apprendiamo dalle nostre esperienze di laboratorio venga trasferito e applicato nel Gruppo.

Quali sono i requisiti fondamentali che rientrano nei vostri benchmark?

Faccio un esempio legato all’automazione dei processi e all’adozione di soluzioni di Intelligent OCR.

Noi partiamo da un’analisi della copertura funzionale, che nel caso delle soluzioni di text analytics, per esempio, significa capire quali testi è importante per il nostro business analizzare e quali campi estrarre.

Valutiamo successivamente una serie di requisiti prestazionali per comprendere, dal punto di vista tecnologico, quali sono le reali necessità in termini di tempi di risposta e quali interfacce sia più opportuno utilizzare per le specifiche esigenze. Il terzo driver, infine, sono i costi, aspetto delicato dell’analisi perché ogni fornitore propone diverse metriche.

La complessità maggiore di uno studio di questo tipo risiede infine nel suo continuo aggiornamento.

In base alla sua esperienza, quali sono i parametri che determinano il successo di una sperimentazione di AI?

In ogni progetto che realizziamo esistono due tipologie di aspettative, tecnologiche e di business. La prima è l’aspettativa nei confronti della soluzione, valutare che la tecnologia dia una risposta consistente. Il vero successo per noi è capire qual è l’impatto in termini di business: comprendere se la sperimentazione riuscirà a fornire una maggiore efficacia nelle business operation, una riduzione dei tempi di risposta ai clienti, anche attraverso servizi digitali.

Qual è stato il grado di affidabilità che avete individuato nei vostri progetti e attraverso l’autoapprendimento come potranno essere migliorati questi livelli?

Non esiste un unico risultato che determina il successo o l’insuccesso di un’esperienza di intelligenza artificiale, in quanto a seconda delle progettualità le risposte sono diverse. Quello che abbiamo imparato è che il sistema non autoapprende ma apprende perché dietro alla tecnologia opera una persona di Generali con le capacità specifiche per dare valore a quel risultato.

Per esempio abbiamo ottenuto ‘score’ che dal punto di vista statistico sono poco significativi, ma che per i colleghi che lavorano nel business sono invece molto rilevanti perché forniscono un’indicazione ulteriore e utile alle attività che svolgono quotidianamente, facilitando l’analisi dei dati e la definizione di alcune priorità.

Nella robotica dove l’obiettivo è la gestione dell’automazione invece il discorso è diverso: delegare a un robot una serie di task significa che quel software, salvo un numero limitato di eccezioni, le gestisca tutte.

La community di Robotic Process Automation del Gruppo riunita nella sede di Milano

In questo senso, quali sono stati i progetti particolarmente sfidanti nella vostra attività in cui avete raggiunto risultati significativi?

Potrei citarne diversi, ma uno dei più significativi, per una delle nostre legal entity, è stato quello che ha permesso di identificare, all’interno dell’elenco dei clienti, quelli che sarebbero stati più propensi all’acquisto di un determinato prodotto assicurativo, utilizzando algoritmi per identificare quei pattern che avrebbero potuto portare a un maggiore interesse per quel target di riferimento. Dal punto di vista dei risultati, rispetto alle tradizionali analisi, questo approccio ci ha consentito di incrementare il risultato delle vendite. Un risultato notevole.

Portare a fattor comune un progetto sviluppato in laboratorio non deve essere semplice: come operate per consentire a tutte le realtà di Generali di beneficiare delle vostre iniziative?

Qui mutuo la mia esperienza pregressa, maturata nelle multinazionali High Tech e che si basa su un approccio che ci caratterizza sempre di più, che è quello di ‘community’. In Generali abbiamo costituito diverse ‘comunità’ relative, per esempio nel mio caso, a temi come la robotic process automation, la blockchain, la data governance, l’advanced analytics e l’AI. Grazie a una piattaforma dedicata, questi colleghi possono scambiarsi informazioni, condividere casi d’uso ed esperienze. Ma non è solo un’esperienza digitale: periodicamente, almeno una volta all’anno, organizziamo un incontro in una delle location di Generali. In virtù di questo approccio nell’ultimo periodo siamo riusciti a mettere a fattor comune numerose esperienze di successo.

Per ‘disseminare’ è necessario però investire in formazione. Come la realizzate e quali percorsi avete deciso di seguire in questo senso?

Generali ha deciso di investire in modo significativo in formazione: organizziamo e partecipiamo ad hackathon e ad attività di scouting in collaborazione con i vendor, prendiamo parte a conferenze, cui veniamo invitati anche per dare il nostro contributo, e realizziamo momenti di training interno per facilitare l’up skill dei colleghi che lavorano nel mondo dati e IT. Organizziamo momenti di condivisione e affiancamento tra figure professionali diverse.

Per i nostri data scientist, inoltre, abbiamo sviluppato un percorso ad hoc con un percorso dedicato di formazione su linguaggi, tecnologie e metodologie.

In che modo i progetti di AI differiscono dai progetti IT tradizionali?

Rispondo con una domanda: cosa intendiamo con progetti IT tradizionali? Esistono ancora? Dal mio punto di vista, il progetto IT tradizionale poteva essere rappresentato dall’implementazione di un ERP, ma sono ambiti che comunque stanno evolvendo.

Le nuove tecnologie come RPA e l’intelligenza artificiale utilizzano linguaggi e piattaforme di diverse tipologie, richiedendo una project governance diversa, più complessa perché non ancora standardizzata, supportata da nuove competenze. È anche per questo motivo che Generali punta molto sulla formazione.

Intelligenza artificiale e change management. Quando i progetti vanno in produzione, come si motivano gli utenti interni a cambiare le proprie modalità di lavoro per dare spazio a processi supportati dall’intelligenza artificiale?

Il change management secondo me nasce dalla risposta a una semplice domanda: l’intelligenza artificiale è un valore? La risposta è articolata, ma centrale è riuscire a spiegare i benefici che queste innovazioni portano con sé. In Generali da questo punto di vista siamo a buon punto: i nostri colleghi hanno adottato la robotic process automation perché applicata alla gestione dei processi è un supporto per eliminare task ripetitivi e per concentrarsi sulle attività che portano maggior valore ai nostri clienti. È un percorso che già sta avvenendo e, come ho detto, disruptive non è la tecnologia, ma la sua adozione. È questo l’approccio corretto, la chiave per realizzare vero change management.


Ruggero Vota

Con una solida formazione informatica e dopo un’esperienza triennale in software house, nel 1986 inizia l’attività giornalistica su riviste del settore ICT, mensili e settimanali. Dal 2012 è Caporedattore delle riviste ICT di Soi...

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