Smart working in progress (parte 2)
Alcuni utili chiarimenti su disconnessione, inquadramento del lavoratore e sul panorama normativo europeo.
Come anticipato nello scorso articolo, inizieremo ora a illustrare, senza pretesa di completezza alcuna, i tratti caratterizzanti l’istituto del lavoro Agile (c.d. smart working), quale disciplinato, dalle norme vigenti nel nostro ordinamento giuridico, e dalla interpretazione che delle stesse è stata compiuta, nella situazione che caratterizza l’attuale stato di emergenza, dalla recente giurisprudenza di merito in materia. In questo ambito, il Tribunale di Grosseto, con ordinanza dello scorso 23 Aprile 2020 ha precisato che accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, il datore di lavoro non può agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei confronti di questo o quel lavoratore, tantomeno laddove vi siano titoli di priorità legati a motivi di salute.
Lo smart working non è un’altra tipologia di lavoro
Come ricordato, le norme che hanno previsto questa particolare forma di svolgimento della prestazione lavorativa sono contenute negli articoli da 18 a 24 della legge 22 maggio 2017 nr. 81 rubricata “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
Sin dall’esame del titolo della norma richiamata, si comprende come, il lavoro agile, non sia un’autonoma tipologia di contratto di lavoro, quanto, piuttosto, una particolare modalità di esecuzione, stabilita tra le parti, di prestazioni tipiche, riferibili a un rapporto di lavoro subordinato tra esse costituito.
Si tratta, in altre parole di una modalità di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato, cui deve riferirsi nei suoi elementi principali, e in questo senso è dunque corretto ritenere che il lavoratore agile sia un lavoratore dipendente, come tale assoggettabile a tutti gli obblighi previsti, tra le altre, dalle specifiche previsioni del codice civile in materia, prima tra tutte quella dell’art. 2094 in base al cui disposto, è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.
In effetti, nell’ambito della norma appena ricordata, possono collocarsi, le previsioni di cui agli artt. 19 e 20 della citata legge. In particolare, il primo comma dell’art l’art. 19 stabilisce il principio, derogato nello stato di emergenza del vincolo di forma, prevedendo espressamente che l’accordo individuale, tra il datore di lavoro ed il lavoratore, relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.
Il diritto alla disconnessione
Il tema della disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro appare essere di particolare centralità nella individuazione di criteri e modalità attuative delle norme di legge, rispettose del diritto di ogni persona umana di non veder esaurire, nell’ambiente lavorativo la propria personalità.
Ciò che precede, in considerazione del fatto che, il rischio della iper-connessione del dipendente, vale a dire, di un’eccessiva difficoltà per quest’ultimo, di separare in modo giuridicamente netto, sul versante tecnologico, ma non solo, la sfera lavorativa da quella personale è destinato ad avere effetti diretti e misurabili in termini di lesione del diritto alla salute del dipendente stesso.
In effetti, data la differenza del lavoro agile con tradizionale rapporto di lavoro subordinato, in cui la prestazione lavorativa è erogata all’interno di un orario specifico e predeterminato, si é rilevato sussistere il rischio che un’eccessiva digitalizzazione della prestazione porti il lavoratore a essere in ogni momento reperibile e operativo, con conseguenti pregiudizi alla salute e all’esercizio del diritto di riposo.
Molte sono, in questo senso, le possibili patologie psicologiche da sovraccarico che giova scongiurare: da mere situazioni di stress (il c.d. techno-stress) ed eccessiva stanchezza, sino all’esaurimento, alla dipendenza tecnologica e alla sindrome da burnout. A ciò si aggiungano possibili e ulteriori nocumenti alla propria sfera personale e al rapporto con i familiari, posta la tendenza all’assottigliamento tra il confine lavoro e vita privata.
Inquadramento del lavoratore agile
Il secondo comma dello stesso articolo 19 prevede invece che l'accordo di cui al comma 1 può essere a termine o a tempo indeterminato e che in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Si chiarisce inoltre che, in presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.
L’articolo 20, precisa infine che il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell'azienda.
Vale la pena precisare che il lavoro agile o smart working è in realtà, una esperienza giuridica che, oltre a conoscere modalità applicative peculiari, al di fuori del territorio dello stato, in Francia, in Inghilterra ed in Olanda, per fare degli esempi, trova la sua genesi, al di fuori dei confini dell’ordinamento nazionale, in una dimensione europea e, precisamente, nella Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale.
No alla disponibilità permanente
Nello specifico, il principio nr. 45 della Risoluzione, specificamente, sostiene il ‘lavoro agile’, quale approccio all'organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, che non richiede necessariamente al lavoratore di essere presente sul posto di lavoro o in un altro luogo predeterminato e gli consente di gestire il proprio orario di lavoro, garantendo comunque il rispetto del limite massimo di ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge e dai contratti collettivi.
La raccomandazione, inoltre, evidenzia il potenziale offerto dal lavoro agile ai fini di un migliore equilibrio tra vita privata e vita professionale, in particolare per i genitori che si reinseriscono o si immettono nel mercato del lavoro dopo il congedo di maternità o parentale, si oppone alla transizione da una cultura della presenza fisica a una cultura della disponibilità permanente e, infine, invita gli Stati membri a promuovere il potenziale offerto da tecnologie quali i dati digitali, internet ad alta velocità, la tecnologia audio e video per l’organizzazione del (tele)lavoro agile.
Per completezza, occorre ricordare che anche antecedentemente all’emanazione delle norme sopra ricordate, la contrattazione collettiva, del nostro Paese, aveva conosciuto formule ad hoc per la disciplina del fenomeno, risultano infatti stipulati per esempio, sin dall’anno 2015, all’interno del Gruppo Barilla accordi di smart working; ma non solo, negli anni successivi importanti realtà pubbliche e private hanno fatto ricorso a quest’istituto. Solo per fare degli esempi, si ricordano nel 2016 gli accordi del gruppo Vodafone e, negli anni immediatamente successivi, quelli di ENI, ENEL e del gruppo Ferrovie dello Stato.