Lo Stato innovatore… e imprenditore

Qualche spunto di riflessione sulla strategia di rilancio dell’economia nel post pandemia

Lo Stato innovatore è il titolo di un libro uscito nel 2014 di Mariana Mazzucato, oggi docente di Economia dell’Innovazione e del Valore Pubblico all’University College di Londra e consulente di molti governi di diversi Paesi. Un libro che oggi può dare spunti importanti per la politica di rilancio dell’economia nel nostro Paese nella fase post pandemia, grazie ai fondi europei fino a oggi preannunciati. Il MES, sul quale permangono dei dubbi da parte di alcuni sull’opportunità del suo utilizzo, mette a disposizione dell’Italia fino a 36 miliardi di euro per investimenti nella sanità. A questo si aggiunge il Recovery Fund, finora solo annunciato e che si spera venga approvato al più presto, che secondo i calcoli assegnerebbe al nostro Paese 173 miliardi di euro tra sussidi e prestiti a bassi tassi d’interesse. Insomma, nella migliore delle ipotesi, solo con queste due misure avremo a disposizione oltre 200 miliardi.

Se tutto questo si avvererà, abbiamo davanti due strade per impostare le cose. La prima è quella di distribuire le risorse a pioggia cercando di soddisfare tutti gli interessi particolari che si affacciano e si affacceranno in questo periodo, molti dei quali legittimi, ma altri magari un po’ meno.

La seconda invece può prendere spunto proprio dal libro scritto da Mazzucato che certamente rappresenta ancora oggi una voce fuori dal coro. La docente di economia ha infatti dimostrato che tutti gli Stati, anche in questi ultimi decenni, non hanno rinunciato a intervenire direttamente nei mercati orientandone lo sviluppo e che invece il mito ideologico del mercato che si regola da solo, al quale non solo in Italia la politica si è spesso genuflessa, è piuttosto inconsistente. Mazzucato non solo racconta come nel Paese più liberista del mondo – gli Stati Uniti anche nell’epoca di Reagan – i programmi del governo federale abbiano inciso sul futuro di molte iniziative di innovazione – Darpa per Internet (1958), lo Sbir rivolto alle piccole e medie imprese del 1982, la legge sui ‘farmaci orfani’ del 1983 che ha aperto l’era della biotecnologie, e la National Nanotechnology Initiative degli Anni ’90 -, ma che anche l’iPhone non esisterebbe senza internert, il GPS, gli schermi touch e altre tecnologie che sono state sviluppate prima in ambito militare grazie a investimenti statali diretti.

Tornando a quello che dobbiamo fare oggi, il libro di Mazzucato indica come essenziale per un Paese che vuole rilanciare la sua economia una strategia da compiere in tre passi: investire sulla scuola, creare una nuova offerta di prodotti e servizi e incentivarne la domanda.

Il dibattito oggi si sta molto polarizzando sul tema scuola, dimenticando però gli altri due aspetti che non sono assolutamente da trascurare. Se ci fermiamo solo all’investimento sulla scuola rischieremo di portare benefici ad altri Paesi perché si accentuerebbe la fuga all’estero che oggi tocca decine di migliaia di nostri giovani ben preparati che ogni anno non trovano sbocchi nel tessuto economico italiano. Questo ai nostri giovani di eccellenza offre con molta difficoltà posti di lavoro all’altezza della loro preparazione accompagnati da stipendi adeguati e competitivi. E questo non è un problema della scuola.

Intendiamoci investire oggi nell’istruzione dei nostri giovani è un dovere sacrosanto, ma Mazzucato ci ricorda che uno Stato che vuole rilanciare la sua economia può trovarsi anche a dover giocare un ruolo da imprenditore, là dove i privati non vedono un ritorno economico immediato per i loro investimenti, quando è essenziale investire per il futuro. E questo oggi non può più scandalizzarci.

Dal 2014 fino a febbraio del 2020 per lo scenario italiano le parole di Mariana Mazzucato sembravano solo una bella utopia. Ma le cose sono cambiate radicalmente e le risorse ci sono e ci saranno. Qualcuno ha lanciato l’ambizioso obiettivo di sviluppare un sistema sanitario di eccellenza che può diventare il migliore del mondo. Benissimo, ma ci sono anche altri temi e sappiamo già che sicuramente qualsiasi altro progetto d’avanguardia sul quale sceglieremo di lavorare comprenderà inevitabilmente una parte importante di tecnologie digitali.

C’è però un altro cambiamento su cui possiamo fare leva. Il recente volume ‘L’Italia nel Novecento’ di Miguel Gotor ci ricorda che tra il 1961 e il 1963, i vincoli geopolitici ai quali l’Italia era soggetta hanno bloccato lo sviluppo italiano dell’industria informatica (il caso Olivetti), di quella petrolifera (il caso Mattei) e, storicamente è importante ricordarlo anche se si è antinuclearisti, lo sviluppo di una via italiana all’energia nucleare (il caso Ippolito). Scrive Gotor: “L’Italia fu costretta, con le buone o con le cattive, a limitare e a indirizzare il proprio modello di sviluppo verso la chimica di base, la produzione di automobili e di macchinari, il tessile, l’abbigliamento, l’alimentare e il made in Italy, ma dovette rinunciare al balzo decisivo verso una dimensione produttiva e tecnologica più avanzata in ambito petrolifero, nucleare ed elettronico, laddove si sarebbe giocata la partita del futuro”.

Oggi il vecchio vincolo internazionale non esiste più, siamo una componente fondamentale dell’Unione Europea e questa ci dà l’opportunità di fare un salto di qualità per diventare un partner che porta nuovo valore anche sui temi di innovazione economica e industriale del futuro.

È un appuntamento storico, che non possiamo permetterci di mancare.

 

 


Ruggero Vota

Con una solida formazione informatica e dopo un’esperienza triennale in software house, nel 1986 inizia l’attività giornalistica su riviste del settore ICT, mensili e settimanali. Dal 2012 è Caporedattore delle riviste ICT di Soi...

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