Smart working in progress

Il lavoro agile da casa è diventato un obbligo necessario per rispondere all’emergenza COVID 19. Alcune considerazioni normative.

Le circostanze eccezionali, della drammatica emergenza sanitaria in corso nel nostro Paese e nel mondo, che stiamo vivendo ormai da molte settimane, hanno, per causa di forza maggiore (vis maior cui resisti non potest, dicevano gli antichi), determinato, in capo alle istituzioni e alle organizzazioni economiche, ove cíó fosse possibile in ragione della attività svolta, la necessità di dover fare ricorso, a ogni mezzo, per consentire la prosecuzione delle lavorazioni e l’erogazione dei servizi, anche essenziali, alla popolazione. In alcuni casi, purtroppo, in modo troppo affrettato, approssimativo e senza adeguata valutazione delle eventuali criticità delle quali si tenterà di dare conto in questo e nel prossimo numero.

Misure tecniche e organizzative adeguate

È tuttavia sicuramente comprensibile, anche a posteriori, che gli sforzi iniziali, condotti nell’urgente immediatezza dell’applicabilità delle progressive limitazioni alla libertà di circolazione dei cittadini e dei lavoratori, imposte dallo stato di quarantena, siano stati quelli indirizzati a consentire, a discapito, per esempio della sicurezza e della protezione dei dati anche personali, la continuità operativa, anche se parziale, delle attività, attraverso lo svolgimento, da remoto, mediante impiego di tecnologie telematiche, quanto meno delle funzioni amministrative e/o impiegatizie: il cosiddetto smart working. Sia nel settore privato, sia nelle pubbliche amministrazioni, a vari livelli, a partire dalla scuola sino ad arrivare, passando per le professioni e molte delle attività di sportello delle amministrazioni locali, e quindi infine anche al potenziamento di forme sino a poco tempo fa, appena embrionali, di telemedicina o assistenza domiciliare remota.

Ciò che precede, se da un lato ha dimostrato, ancora una volta, la rilevanza strategica che hanno ormai assunto nella società contemporanea i servizi della ‘società dell’informazione’, quali per esempio la connettività, la disponibilità di hosting efficiente e di servizi di elaborazione ad alta affidabilità, dall’altro lato, ha costretto molte realtà organizzative a dover constatare inerti, nel migliore dei casi, l’inadeguatezza delle misure tecniche e organizzative predisposte per far fronte all'imponderabile, disastrosa situazione, in cui ci si è venuti a trovare.

Per esempio, molte organizzazioni hanno dovuto consentire a che il personale dipendente usasse, in mancanza di alternative, per collegarsi con i server aziendali ove sono localizzate le applicazioni di business, strumenti personali, quali personal computer, smartphone e strumenti di connettività, sovente utilizzati in modo promiscuo, non aggiornati e potenzialmente rischiosi per la sicurezza degli asset societari, immateriali digitalizzati e non.

La normativa emergenziale

Dal punto di vista normativo, il recentissimo passato ha visto il susseguirsi di norme emergenziali, emanate nella forma della decretazione d’urgenza che tuttavia, sin da subito hanno avuto il merito, secondo chi scrive, di consentire alle organizzazioni di evitare il blocco totale della continuità operativa, facendo ampio ricorso a modalità alternative di erogazione della prestazione lavorativa da parte del personale in forza.

Si legge infatti, all’art. 4 comma 1 del D.P.C.M. 1 marzo 2020 recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da CO-VID-19” che, fermi restando gli obblighi di informativa di cui all'art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, che possono essere assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, sull’intero territorio nazionale la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti.

La ratio emergenziale della disposizione normativa sopra richiamata, vigente a tutt’oggi, sino almeno al prossimo 31 luglio 2020, risiede principalmente nell’avere snellito la procedura ‘ordinaria’ prevista dalla legge appena richiamata, per la regolare costituzione di rapporti di lavoro agile (tale è definito lo smart working nel nostro ordinamento giuridico), facendo venir meno, con effetti di cui non si conosce ancora la reale portata, anche in termini di conflittualità e contenzioso giudiziale prevedibile, uno dei capisaldi della disciplina legislativa antecedente l’emergenza.

In effetti, la legge 81 del 2017 prevede invece, non solo che vi debba essere un accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore per l’erogazione della prestazione lavorativa in modalità agile, ma anche che, tale accordo, sia scritto, e che, tra le altre, disciplini l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e agli strumenti utilizzati dal lavoratore, individuando altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

Il lavoro agile non è solo lavorare a casa

Per dare un contesto compiuto al fenomeno che qui ci occupa, è opportuno svolgere alcune pertinenti osservazioni correlate alle interazioni del lavoro agile con altri ambiti strategici dell’organizzazione del lavoro, anche una volta che sará trascorsa l’emergenza, nell’ottica del miglioramento continuo dell’efficacia delle misure organizzative sin qui adottate. A questo proposito conviene muovere dalla definizione che dello smart working fornisce il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per il quale, esso è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. Una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.

La semplice analisi della definizione riportata, che peraltro risulta coerente con quanto previsto dall’art. 18 della legge 81 del 2017, che individua nello smart working uno strumento per incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, consente di evidenziare, sin da subito un contrasto, in verità forse non solo apparente, tra ciò che il lavoro agile era nelle intenzioni del legislatore e ciò che, invece, risulta a oggi applicabile in materia, per effetto delle ricordate modifiche normative.

Sembra in effetti evidente come vi sia, nell’attuale stato di applicazione delle norme in vigore, del tutto condizionato dalla situazione di emergenza sanitaria nella quale stiamo vivendo, un contrasto insanabile tra l’esigenza di conciliare i tempi di vita e di lavoro del dipendente e le odierne necessarie limitazioni, della sua libertà di movimento che, di fatto, svuotano di significato sostanziale la lettera delle norme, pensate proprio per far svolgere al prestatore d’opera le sue mansioni lavorative, non solo e non necessariamente al di fuori della sede aziendale, ma anche con tempi e modalità effettivamente discrezionali, che non si ritrovano, purtroppo, nell’attuale stato delle cose in cui, semplicemente, il personale lavora da casa anziché recarsi in ufficio o presso la sede di lavoro.


Giuseppe Serafini

Avvocato del Foro di Perugia. BSI - ISO/IEC 27001:2013 Lead Auditor; Master Privacy Officer; perfezionato in Digital Forenscis, Cloud & Data Protection. Già docente di Informatica Giuridica presso la Scuola di Specializzazione in Professioni Legali di Perugia, L. Migliorini e collaboratore della cattedra di Informatica Giuridica della Facoltà di Giu...

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